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Illusioni ottiche e paradossi visivi
di Vilma Torselli
pubblicato il 24/04/2007 |
Logica visiva nelle figure
impossibili delle illusioni ottiche più note, come il
triangolo di Penrose. |
"Una convincente impossibilità
è preferibile a una non convincente possibilità"(Aristotele)
Le illusioni ottiche sono alterazioni della percezione visiva,
devianze dal modo corrente in cui i nostri occhi "interpretano"
le immagini della realtà fisica e sensoriale, causate
da fenomeni a cui la nostra mente non riesce a dare un'interpretazione
logica e tali da mettere in crisi la relazione tra l'occhio
che raccoglie l'informazione visiva ed il cervello che la
elabora basandosi sulle precedenti esperienze.
Tenendo presente che l'esperienza visiva ha carattere strettamente
individuale sia sul piano fisico che su quello interpretativo,
come ho già detto in altra sede, è scontato
che ciò che vediamo non è una realtà
unica ed assoluta, ma la nostra personale percezione ed interpretazione
della realtà: affermazione che si complica ulteriormente
se parliamo d'arte visiva, perchè in questo caso siamo
davanti alla valutazione di un'opera che esprime una prima
elaborazione della realtà, quella compiuta dall'artista,
e che richiede, per essere compresa, una seconda elaborazione
da parte nostra.
Da sempre l'arte figurativa cerca di esprimere la realtà
utilizzando mezzi tecnici limitati, in rapporto alla complessità
dell'oggetto da rappresentare, integrando ed intervenedo con
mezzi immaginativi, in teoria illimitati, e con la creatività,
grande risorsa della specie umana, dando vita talvolta a risultati
paradossali: ciò accade quando i sensi percepiscono
come possibili, logici, verosimili e quindi reali oggetti
in realtà inesistenti, impossibili e quindi illusori.
Si tratta di inganni ottici, inganni dei sensi, dai quali
discendono rappresentazioni di impeccabile logica visiva,
che sembrano generate da premesse vere, e che portano a risultati
contradditori (una scala che sale e scende contemporaneamente,
che è dentro e fuori, una cascata che ritorna all'origine,
un oggetto concavo e insieme convesso, un triangolo impossibile
con tre angoli retti).
Nel 1958, il matematico Roger Penrose, ispirato dalle opere
di Escher che aveva ammirato nel 1954 ad Amsterdam, in occasione
del Congresso mondiale della matematica, pubblicò sul
'British Journal of Psychology' un disegno che raffigurava un
incredibile rompicapo, un triangolo impossibile, proiezione
bidimensionale di una costruzione formata da tre barre collegate
l'una all'altra per mezzo di angoli retti, dove ciascun angolo
retto è correttamente rappresentato, ma i tre angoli
sono collegati tra loro in modo scorretto, tanto che alla
fine si ottiene un triangolo la cui somma degli angoli interni
è pari a 270 gradi e quindi un triangolo impossibile.
Fu quella la circostanza che, in seguito spinse Escher a rappresentare
in "Waterfall" il triangolo di Penrose.
L'assurdità della figura, in questo caso, risiede nella
sua interpretazione, e Richard Gregory ha dimostrato come
tre sbarre a due a due perpendicolari (ovviamente formanti
non un triangolo chiuso, ma una figura aperta) possano sembrare
un triangolo impossibile, se osservate da un particolare punto
di vista. |
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Il grafico olandese Maurits Cornelis Escher, acuto indagatore
delle singolarissime possibilità che si nascondono
nella struttura dello spazio, fu un geniale inventore di paradossi
visivi, come nella litografia "Waterfall", opera
nella quale utilizza il triangolo di Penrose per ben tre volte
consecutive nella rappresentazione di un canale, che sembra
localmente in piano, mentre le colonne della struttura che
attraversa lo fanno sembrare su piani diversi e in salita:
si crea così l'impressione paradossale, l'illusione
ottica di un moto perpetuo dell'acqua che scorre all'insù,
contro ogni regola dell'esperienza comune, infrangendo le
leggi gravitazionali. |
E' la riprova di come le percezioni sensoriali ricevute,
in contrasto con le le leggi fisiche della costruzione tridimensionale,
non possano essere corrette dall'intelletto, dato che si basano
su moduli cerebrali che agiscono in modo indipendente l'uno
dall'altro, quindi non relazionabili e di come la geometria
e le sue regole applicate al disegno ci permettano di rappresentare
quello che vediamo in modo tale che il cervello lo ritenga
simile alla realtà.
Talvolta questo metodo consente anche di ingannare il cervello
a cui l'occhio comunica percezioni falsate e di rappresentare
oggetti o spazi in false prospettive, rendendo possibile la
rappresentazione dell'impossibile, ma in definitiva gli occhi
non sempre ne hanno colpa: è il cervello che imbroglia
se stesso, abituato comè a interpretare tutto
ciò che vede e quando deve scegliere tra i suoi preconcetti,
peraltro in gran parte suffragati dall'esperienza, e la realtà,
preferisce salvare i primi e scartare la realtà.
Scrive Maria Teresa Tuccio, docente di fisica per le scienze
biologiche: "La percezione é una simulazione
ricostruttiva generata dal cervello, sotto il controllo di
una determinante genetica, delle interazioni tra noi e lambiente
materiale che ci circonda e in base alle nostre conoscenze
e alle nostre esperienze precedenti: cio' che e' percepito
e' diverso dall'oggetto esterno che rappresenta. Con una bella
espressione della Programmazione NeuroLinguistica possiamo
dire: la mappa non e' il territorio, e ognuno di noi costruisce
mappe diverse dello stesso territorio e anche mappe diverse
da momento a momento, in base al nostro grado di attenzione,
ai nostri bisogni, alle nostre motivazioni."
E' proprio nella sostanziale indeterminazione della visione,
della percezione e della ricostruzione della realtà
che prende vita l'affascinante mondo dell'inganno dei sensi,
dell'illusione ottica, del paradosso visivo al quale tante
volte l'arte si è ispirata.
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