Per tracciare una storia recente
del rifiuto, forse basta ricordare Rauschenberg e Johns e la
loro celebrazione dello scarto, o Arman e i suoi caotici accumuli
di pattume, o César e le sue compressioni di scarti e
trovare le radici di un rapporto con l'oggetto quasi animistico,
chiave di lettura di tutto ciò che ci circonda, le presenze
quotidiane, banali ma non per questo anonime ed insignificanti,
degli oggetti che fanno parte della nostra vita o che da essa
abbiamo scartato, "feticci ragionevoli", per citare
Pierre Restany, in dialogo attivo con la nostra interiorità.
"L'uomo ha "fatto i conti" con i rifiuti
da lui stesso prodotti sin dai tempi più antichi. Ma
mai come oggi la sua esistenza è assediata, minacciata,
costretta dai suoi stessi scarti. Scarti materiali, ma anche
rifiuti umani, esseri emarginati, poveri derelitti. Il rottame
(in senso lato) è elemento di un'estetica alla quale
siamo ormai talmente abituati da non percepirla più
come tale. L'estetica della rovina, dell'incolto, dell'abbandono,
tramutata col tempo nell'estetica della discarica e di chi
la "abita". Non a caso proprio negli ultimi decenni
l'etica e l'estetica del rottame sono divenuti fondamenti
d'arte e di ideologia." (Ave Appiano , "Estetica
del rottame", 1999, edizioni Meltemi).
Il tema può ingenerare non pochi equivoci e critiche,
in una società dove "In assenza di valori forti,
non rimane che mettere in mostra la volgarità del quotidiano
.."
(Giulio Ferroni, docente di Letteratura Italiana all'Università
La Sapienza di Roma), poiché si presta facilmente a
fare da alibi ad un'arte che, esaurita ogni possibile ricerca
intorno all'ordinario, impantanata nelle secche di una ormai
lunga crisi creativa, ha deciso di scendere tra i rifiuti
e, come l'architettura, recuperare lo scarto, l'inutile, l'obsoleto,
tutte e due rovistando nel degrado alla ricerca della perduta
ispirazione: e paradossalmente, questo riciclaggio del vecchio
ready made duchampiano diventa, in qualche modo, un recupero
esso stesso della tradizione, del già visto o già
fatto, da ultimo dalla pop art, proprio nel momento in cui
viene proposto come novità.
Riciclato, è il caso di dirlo, il neologismo nel più
accattivante, anglosassone cheapscape (tradotto letteralmente:
panorama scadente, paesaggio povero), il ri-uso, il recupero
del rifiuto costituisce la cifra fondamentale di molta architettura
contemporanea, inteso sia come riabilitazione di strutture
obsolete che come riqualificazione di contesti urbani degradati.
E' così che prevalgono, in una società carente
di riferimenti culturali e di fonti ispirative, la retorica
e "la poetica della discarica", secondo le
quali stracci, cartoni, lamiere, scarti, riciclaggio, rottamazione
sembrano costituire una sorta di valore aggiunto per tante
realizzazioni di incerta valutazione, poiché "le
regole del gioco sono state orchestrate in modo da far apparire
individualista, asociale, egoista chi non entra nella logica
della rottamazione, e da far apparire all'opposto progressista,
evoluto e socialmente sensibile chi la condivide".(Ave
Appiano, idem) ".
Cosicché il rifiuto, accuratamente stravolto ed integralmente
rivisitato sia nella funzione che nella forma, "scarto
riabilitato" sottratto alla sudditanza dell'identità
della quale bisogna cancellare ogni traccia per farne altro,
si ammanta oggi di valori morali per la possibilità
di educare a consumi più intelligenti.
Appurato che giova sfruttare demagogicamente un filone di
moda, collegandolo, sul filo di un abusato moralismo ambientale,
al problema dell'inquinamento e della sovraproduzione di beni
di consumo per un mercato ormai giunto alla saturazione, produttore
non più di progresso ma di eccesso, i risultati non
si sono fatti attendere.
E' infatti sulla scia di questo diffuso spirito pauperista che un piccolo progetto di ampliamento di residenza unifamiliare
attuato in California da uno sconosciuto architetto americano
di origine ebraica, ex camionista e scultore di modestissima
fama e dubbio valore che non esita ad esibire, per necessità,
per snobismo, per ironia, tutto il repertorio del backyard americano, fa gridare al miracolo:
"Cosa fa l'architetto americano? Compra una casetta
anonima nell'anonimo suburbio di Los Angeles e la stravolge
spazialmente con una semplice aggiunta utilizzando in modo
inaspettato pannelli di lamiera ondulata, rete metallica,
pannelli di compensato al naturale cioe' tutto il repertorio
dei materiali che i vicini utilizzano casualmente ed inconsapevolmente."
(così su Antithesi, commento 404, del 5/9/2003, Mariopaolo
Fadda) , dando il via ad "una delle più convincenti
tappe nella conquista di una nuova frontiera: il grado zero
del linguaggio architettonico." , così scrive
lo stesso autore nel suo libro "Walt Disney Concert Hall
di Frank O. Gehry", forse perdendo di vista il fatto
che è relativamente facile scendere al grado zero,
lo hanno fatto quasi tutte le avanguardie del '900, più
difficile risalire.
Comunque, dopo questo esordio, è cheapscape l'abbandonato
appezzamento di terreno su cui sorgerà il Guggenheim
di Bilbao, è una fatiscente fabbrica dimessa il nucleo
attorno al quale si svilupperà il MARTa di Herford...........
L'estetizzazione del "junkspace", se vogliamo tirare
in ballo Koolhaas, o del più squallido dei non-luoghi,
se preferiamo riferirci a Augé, insomma del mediocre,
dello scarto, del rimediato, anonimo e privo di valore, di
ciò che viene dato per perso e buttato, si colloca
coerentemente all'interno del moderno sistema sociale occidentale
nel quale la cultura, volendosi sottrarre ad ogni valutazione
e giudizio di merito e prescindere da ogni scala di valori,
finisce per promuovere e glorificare idee sostanzialmente
modeste o usurati déjà-vu nel nome di "una
lacrimosa avversione all'eccellenza" sulla quale
disquisisce con tagliente ironia Robert Hughes in un suo celebre
pamphlet ("La cultura del piagnisteo", Adelphi,
2003).
Ed è così che il ri-uso continua a trovare nuovi
cantori, mentre appare sempre più inevitabile chiedersi
se questo stile della mancanza di stile nato dagli scarti
della società consumistica e dai rifiuti della civiltà
tecnologica, resterà nella storia dell'arte e dell'architettura
o solo in quella del costume.
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