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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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Parigi, all’Espace Lafayette-Drouot "The World of Bansky”, su 1200 mq. esposte un centinaio di opere del più famoso street artist del mondo. Fino al 31 dicembre 2021.

All this Useless Beauty
di Vilma Torselli
pubblicato il 23/04/2008
Senza estetica non si fa nulla” (Roger Penrose)
Se lo scopo fondamentalmente dell’architettura è fornire un ‘servizio’ nei confronti dei suoi utenti, il che ne fa l’attività più ‘utile’ che l’uomo abbia mai sviluppato dalla preistoria fino ad oggi, dobbiamo pretendere che sia idonea allo scopo, senza necessariamente chiederle di essere anche ‘bella’ o morale o etica: tuttavia, davanti ad una manifestazione che, in quanto visiva come la pittura, la scultura e, appunto l’architettura, finisce inevitabilmente per essere anche estetica, la prima reazione dell’osservatore, dalla casalinga di Voghera all’intellettuale più spocchioso, è quella di esprimere un apprezzamento di tipo qualitativo attraverso la frase “Che bello/a !” o in alternativa "Che brutto/a".

Ma il concetto del bello (e del brutto) è variabile, ha subìto e subisce continue trasformazioni col passare del tempo, secondo un excursus storico-critico che parte dalla concezione platonica e classica di bellezza basata sulla proporzione e armonia fino a giungere, oggi, a quella predominante dissonanza formale che fa dire a Silvia Calandrelli, esperta di comunicazione multimediale (Scienze della Comunicazione, Università La Sapienza): “il brutto è diventato nell'arte contemporanea la vera bellezza?"

In architettura il dilemma è più sfumato che in arte, poiché, quand’anche arbitrariamente, si riconosce e si pretende un ruolo comunque estetico dell'agire artistico, forse per compensare il fatto di essere esso sostanzialmente inutile sul piano pratico, mentre si è più portati a considerare l’architettura come un necessario ‘mestiere’ da svolgere al meglio, dando per scontato che "Non esiste un'architettura bella, o una brutta, una commerciale piuttosto che d'autore. Esiste soltanto un'architettura in grado di dare delle risposte o di non darle", come dichiara Massimiliano Fuksas.
In realtà, in una recente intervista televisiva sui progetti di sviluppo della Milano del 2008, lo stesso Fuksas, che a quanto pare predica bene e razzola male, definisce il suo progetto del nuovo polo fieristico di Pero ‘una bella architettura’, coinvolgendo nell’autocelebrazione il presidente della Giunta Regionale Roberto Formigoni e confermando così che la faccenda non è liquidabile in modo tanto stringato e perentorio neanche per chi, in precedenza, ne ha parlato in questi termini.

Comunque, secondo questo parere peraltro condiviso da molti architetti contemporanei, si può definire una bella architettura quella che si assoggetta, come parametro di giudizio, alla capacità di dare delle risposte, presumibilmente alle domande poste dalle esigenze di utilizzo, con atteggiamento sostanzialmente funzionalista, anche indipendentemente dalla gradevolezza formale dei volumi, delle linee e degli spazi, attributo opinabile e non necessario.
Tutto ciò nell’ottica di una revisione radicale dei parametri classici che per millenni hanno dominato il pensiero occidentale: infatti non dev’essere sempre stato così se l'architettura ha rappresentato in passato oltre che la cultura dei popoli e la loro visione del mondo, anche il loro concetto di bellezza, districandosi tra sezioni auree, serie di Fibonacci, canoni di Policleto, fino a giungere al modulor di Le Corbusier, ai rettangoli aurei di Mondrian, alla geometria frattalica ecc......

Insomma, in passato l’architettura non si esimeva dal cercare di essere anche bella, anzi ce la metteva tutta per esserlo, senza sacrificare per questo gli scopi pratici per cui veniva realizzata.
Il mondo greco ha elaborato una sua idea del bello architettonico strettamente connesso alla razionalità, l’architetto del Partenone aveva senz’altro ben presente a cosa servisse e come andava realizzato ciò che stava erigendo, ma mentre cercava di rispondere al meglio alle domande, non si esimeva dal cercare risposte che al tempo stesso rendessero il suo tempio il più ‘bello’ possibile, con una profusione di fregi, colori, metope, triglifi, accorgimenti prospettici, proporzioni auree e quant’altro.
Con ciò, gli architetti del passato si dimostrano straordinari anticipatori della moderna neurobiologia, che riconosce al cervello umano la capacità di discriminare istantaneamente ciò che è bello da ciò che non lo è secondo un insito principio ‘oggettivo’ di bellezza basato su proporzioni e simmetrie (bilaterali e rotazionali), su dimostrazioni ed equazioni matematiche e geometriche, sulla divina proportione, la sectio divina di Keplero, in base ad una sorta di logica dell’armonia universale derivata da un insieme di regole o canoni rintracciabili in natura e non inventati dall’uomo, in grado di mettere tutti d’accordo nel definire qualcosa come ‘bello’.
Persino Einstein, che individua lo scopo dell’indagine scientifica nella ricerca della bellezza insita nella “semplicità logica dell’ordine e dell’armonia” della natura, attribuisce la sua teoria della relatività ad una metafisica ricerca di bellezza, e con lui Roger Penrose, Stephen Hawking e tanti altri scienziati credono in una bellezza legata anche ad una dimostrazione matematica o ad una equazione .
Bellezza, armonia, gradevolezza, equilibrio, in una percezione sinestetica che avvolge i sensi appagando la mente e il cuore, la nostra mente razionale e quella emotiva. Così concepiva Goethe l’architettura: "Potremmo pensare che l'architettura, come arte bella, parli soltanto ai nostri occhi.Invece, è al senso del movimento meccanico del corpo umano che dovrebbe, innanzitutto, rivolgersi [………] Quando balliamo, ci muoviamo seguendo regole ben precise, e ciò provoca in noi una sensazione piacevole.Una sensazione simile dovrebbe nascere anche in chi venga condotto bendato attraverso un edificio ben costruito" (Johann Wolfgang von Goethe, “Von deutscher Baukunst”).

Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti!

Tant’è che l’architettura moderna pare voler escludere intenzionalmente la ricerca anche incidentale del risultato estetico, almeno a parole, dichiarando a priori di non voler essere bella: lo dichiara Fuksas, lo fanno anche Libeskind, Koolhaas, Gehry, lo fa Renzo Piano, con la sua progettazione high tech in perenne equilibrio tra minimalismo e banalità.
E nel nome di questa conclamata indifferenza per il risultato estetico, c’è il rischio che venga contrabbandata l’idea per niente ovvia che essa sia condizione sufficiente per fare un’architettura intelligente e significativa, a difesa di fallimenti progettuali anche clamorosi (penso al centro culturale Jean-MarieTjibaou in Melanesia, alla ristrutturazione del porto antico di Genova, a firma dell'architetto-tuttologo Renzo Piano) né belli né intelligenti.
L’architettura è un servizio: produce cose che servono alla gente……” dichiara Piano, perfettamente allineato sull’idea di un’architettura 'necessaria', costellata di discorsi più o meno scontati sulla sostenibilità, l’ambientalismo ed il risparmio delle fonti energetiche, aggiungendo, in un’intervista al Corriere della sera del maggio 2007 : “…..fare architettura non è come scrivere un brutto libro che si può anche scegliere di non leggere. L'architettura, brutta o bella che sia, viene comunque imposta a tutti...”, già, anche a quelli ai quali non serve, quelli ai quali l’architetto dovrebbe sentire il dovere morale di imporre un’architettura che almeno sia ‘bella’ da vedersi ……..
Per fare un esempio, perché chi non entrerà mai al Marques de Riscal deve subire comunque la vista di questa spettacolare follia del peggior Gehry? A proposito della quale, per inciso, leggo in rete che l’intento del progettista era quello “di legare questa straordinaria costruzione al paesaggio e alla tradizione vinicola. E' proprio in quest'ottica che si spiega infatti la scelta dei colori, soprattutto quella del rosato.” Un’architettura legata al colore del vino….. ci rendiamo conto?! Quello prodotto nella zona o quello bevuto dall’alticcio progettista?

Insomma, se vogliamo dare delle risposte ai bisogni dell’essere umano, non è forse la bellezza stessa un peculiare bisogno?
Perché tra le risposte che l’architettura è chiamata a dare non ci deve essere anche quella relativa ad una sua ‘bellezza’, genericamente intesa, vana, superflua, inutile come l’arte, ed altrettanto necessaria?

Non dimentichiamo che l'Italia è stata fino ad oggi il più bel paese del mondo grazie a tutta questa inutile bellezza!

* articolo aggiornato il 8/8/2014

link:
Il kitsch
Architettura da amare


DE ARCHITECTURA
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