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Paola Antonelli, curatrice del Dipartimento di architettura e design del Museum
of Modern Art parla di "un minimalismo soltanto di superficie: in realtà
lo stile di Taniguchi è ricchissimo e pieno di calore. Da oggi al nuovo
Moma l'architettura è completamente in funzione dell'arte. E questa sarà
una caratteristica che ci differenzierà in maniera ancora più netta
da molti altri musei": dal canto suo Yoshio Taniguchi, vincitore del
concorso per la ristrutturazione del MOMA di New York davanti a molti concorrenti
di primissimo ordine quali Bernard Tschumi e Rem Koolhaas dichiara : "Non
ho cercato di creare soltanto un edificio fisico, ma ho voluto progettare un ambiente
con dentro oggetti e persone".
Le due esternazioni possono voler
dire la stessa cosa vista da due angolazioni diverse o due dizioni complementari di concetti non opposti, ma integrabili.
La prima affermazione può voler dire che lo stile
Gehry è arrivato al capolinea e che l'arte recupererà
il suo posto nei luoghi in cui gli stentorei assoli di fantasiose
primedonne dell'architettura saturavano col loro frastuono
le capacità percettive degli osservatori, la seconda
può voler dire che, tuttavia, il nuovo MOMA non sarà
un pomposo sacrario dell'arte né un autoreferenziale
museo di sé stesso, ma uno spazio duttile, flessibile,
polivalente, punto di riferimento non solo urbanistico,
fulcro di una rete di relazioni, medium tra vita e cultura,
tra culture diverse, tra linguaggi differenti, quello artistico,
quello architettonico, quello sociale, quello storico, sintesi
tra "il luogo fisico, gli oggetti in esso contenuti
e i molteplici nessi che li collegano l'uno all'altro".
(Alessandro Coppellotti) |
E'
il museo modernamente inteso come public architecture, specchio della molteplicità
delle interrelazioni umane, spazio di aggregazione comunitaria, memoria storica
di un contesto sociale del quale preserva la specificità e la riconoscibilità
culturale e perciò in grado di riqualificare la vita relazionale del contesto
socio-urbanistico di gravitazione. Sempre Taniguchi afferma: "Se raccogliete
molti soldi, vi darò una buona architettura, ma se ne raccogliete ancora
di più, la farò scomparire" dove quella 'scomparsa' significa,
probabilmente, proprio la rinuncia ad ogni bulimia formale per un'architettura
aperta e penetrabile non solo in senso materiale, che integri in reciproco rispetto
e senza prevaricazione contenente e contenuto.
Jean Tinguely, nella sua ricerca
ironica, satirica e ludica attorno alla tecnologia ed alle sue assurde pretese
di razionalità, scrive: "J'ai même imaginé des machines
qui cassent les murs des musées" Sono forse gli stessi muri
'scomparsi' di Taniguchi, quelli che Tinguely voleva abbattere?
Già
nel secolo scorso Edmond de Goncourt, dalla sua villa-museo di Auteuil, con tagliente
sarcasmo e con la libertà mentale di un intellettuale di impressionante
modernità scrive: "Voglio che ai miei disegni, alle mie incisioni,
ai miei oggetti, ai miei libri [
] sia risparmiata la gelida tomba
di un museo e lo sguardo vacuo di un passante indifferente
.." ("La
maison d'un artiste", 1881), schierandosi contro la concezione ottocentesca del
museo-contenitore, il museo-tempio, custode di intoccabili valori culturali ufficialmente
riconosciuti che vanno protetti, preservati e trasmessi, spazio autosufficiente
che esclude ogni relazione dell'opera d'arte con il mondo reale, le conferisce
valore assoluto, la rende parametrabile solo a sé stessa, in completa autonomia,
separata dalla vita, appartenente al museo. Secondo questo concetto, il museo
a cui è affidato il compito di collezionare-conservare-esporre è
una struttura ermeneutica a conduzione totalmente autoreferenziale, deputata alla
trasmissione di una cultura organizzata ed elaborata secondo principi ordinativi
aprioristicamente codificati, ufficialmente autorizzata a gestire e dispensare
i saperi attraverso una serie di reliquari archivistici e depositi istituzionalizzati:
come scrive Robert Harbison, poiché "L'esito ricercato dai musei
è la fine del cambiamento", per accedere al museo-mausoleo l'oggetto
deve morire. E' evidente quanto obsoleta sia oggi, nell'epoca della comunicazione,
questa impostazione monodirezionale, che non tiene conto del fatto che la trasmissione
di dati, informazioni, cultura, non ha efficacia se non si tiene parallelamente
conto di monitorare la correttezza della loro ricezione e decodificazione da parte
dei destinatari, in una continua ricombinazione della pluralità delle visioni
in perenne mutamento e scambio dinamico. E' inevitabile ricordare a tal proposito
le straordinarie intuizioni di Andrè Malraux ed il suo avveniristico concetto
di 'museo immaginario', nel quale, abolita ogni staticità, l'arte vive
in funzione delle relazioni e dei mutamenti in uno spazio (mentale) in continua
evoluzione. Il MOMA, nelle dichiarazioni del suo direttore Glenn D. Lowry,
che promette per il futuro convegni, dibattiti, corsi didattici, mostre tematiche,
si vuole proporre come museo-laboratorio con ruolo di potente mediatore culturale,
nell'intenzione di catturare il massimo bacino di utenza, sfruttando le strutture
in maniera ottimale sia in termini di tempo che di funzioni, facendone uno spazio
condiviso per gli uomini e per l'arte in dialogo reciproco, in dialettico confronto,
perché nell'arte l'uomo si rispecchi leggendovi la propria storia.
Per questa via, almeno nelle premesse programmatiche, il
MOMA si allinea nella direzione dell'evoluzione più
recente del ruolo sociale e divulgativo degli enti museali
aperti e dinamici, veri e propri operatori culturali produttori
e diffusori del sapere non solo artistico, anche scientifico,
storico, umanistico.
link:
Gli
ottant'anni del MOMA
La nuova identità antropocentrica dello spazio museale
Il MOMA di New York
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