“ ….gli studi condotti su
individui giudicati particolarmente creativi in campo artistico,
scientifico, matematico e letterario indicano che i soggetti
creativi tendono a riportare un punteggio elevato nei test
di intelligenza generale. Però, quando tali misure
di intelligenza sono poste in relazione con indici di creatività
basati sul giudizio di terzi o in base ai risultati conseguiti
(numero di opere, premi ricevuti, e cosÌ via), intelligenza
e creatività si dimostrano scarsamente correlate
tra loro.
In un famoso studio condotto su un nutrito gruppo di architetti,
si osservò per esempio che l'interocampione mostrava
nei test di intelligenza punteggi superiori a quelli misurati
nella popolazione generale, ma quando gli architetti, giudicati
come più creativi dai colleghi, venivano confrontati
con il resto del campione, architetti creativi e architetti
per cosÌ dire più normali non mostravano differenze
significative nei punteggi riportati nei test di intelligenza.
D'altra parte, i soggetti giudicati creativi erano anche
giudicati come più intelligenti dalla media dei loro
pari.
Ciò può dipendere dal carattere fortemente
sociale della creatività. Per essa occorre anche
il riscontro della valutazione collettiva. Essere creativi
implica produrre qualcosa di innovativo che appaia utile
o comunque rispondente a un bisogno condiviso e che ottenga
pubblico consenso per entrambi i termini. Il prodotto
creativo, cioè, deve poter essere giudicato dalla
comunità in cui l'atto creativo è espresso
come innovativo realmente utile. Il successo creativo, pertanto,
richiede qualità sociali tali da permettere l'affermazione
proprìa. e dei propri prodotti, e tali capacità
sociali possono facilitare un giudizio positivo sull'insieme
delle caratteristiche possedute dal soggetto creativo……
“ (‘Come
nascono le idee’, Edoardo Boncinelli, Edizioni
Laterza, 2008 – pag.107)
La lunga citazione, a firma di Edoardo Boncinelli, figura
di eccellenza assoluta nel campo della Biologia Genetica
e della Biologia Molecolare, mi pare estremamente interessante
sia perché si parla specificatamente di ‘architetti’,
sia perché pone l’accento sulla ‘qualità
sociale’ che si accompagna alla creatività
e che definisce l’atto creativo degno di riconoscimento
come prodromo di un prodotto socialmente utile. Il che sembrerebbe
particolarmente pertinente all’architettura, in quanto
attività creativa accompagnata da un ruolo civico e da una indiscutibile valenza etica.
In sintesi, per usare parole di Antonio
Preti e Paola Miotto, che hanno studiato anche il rapporto
tra creativtà e psicopatologia, “CREARE
significa produrre qualcosa di "originario" che
abbia un suo potenziale di fruibilità, riconoscibile
per consenso da parte della comunità. Il prodotto
creativo è quindi caratterizzato da tre elementi:
Novità, Fruibilità, Consenso”.
Se si giudica secondo questi parametri, bisogna dire che
la storia dell’architettura passata è piena
di creativi ‘incompleti’ e forse per questo
incompresi (caso emblematico Francesco Borromini, o anche Gaudì, geniali e innovativi in assenza di consensi
allargati) e che pure la storia contemporanea pullula di
portatori di consensi altrettanto incompleti, gratificati,
nella migliore delle ipotesi, da plauso e consenso della
critica per opere che non sono né comprese né
condivise dalla comunità in cui si collocano, di
alcune delle quali non si sentiva affatto il bisogno mentre
per altre ci sono stati clamorosi ed inascoltati rifiuti.
E’ il caso delle numerose archistar, collocabili in
una posizione intermedia che vede a monte una innegabile
capacità creativa (a volte addirittura in eccesso!)
e a valle una risonante affermazione sociale, sia per attributi
specificatamente professionali che altri squisitamente personali,
mancando il passaggio intermedio che dovrebbe mediare i
due estremi e che il professor Boncinelli identifica nella
rispondenza "a un bisogno condiviso e che ottenga
pubblico consenso".
Accade la stessa cosa per l’opera d’arte, per
la quale Gombrich condiziona l'oggettività del valore
anche al seguito ed al consenso che essa ha nel tempo da
parte della comunità, il che rende utili e necessari
i movimenti e le correnti artistiche che ne discendono poiché,
per citare ancora Antonio Preti, “l'innovazione
si perde con la scomparsa del suo creatore, quando non sia
stata trasmessa a degli ‘allievi’ o almeno degli
imitatori. Non sappiamo chi sia stato il primo a cuocere
del tritato di grano misto ad acqua, ma il pane che mangiamo
tutti i giorni discende dagli esperimenti di un ‘cuoco’
particolarmente dotato”.
Il fatto che l'invenzione sia stata insegnata ed imitata
ci permette ancora oggi di godere del pane.
Contrariamente a questa logica deduzione, Frank O. Gehry,
nota archistar, e non solo lui, ha in più occasioni
dichiarato la sua opposizione al concetto di 'schools',
e non si può fare a meno di pensare che se Frank
L. Wright, o gli architetti della Bauhaus l’avessero
pensata così oggi il mondo abitato sarebbe decisamente
più brutto.
Considerazioni parallele si possono fare per l’arte
visiva, che ha raggiunto oggi un livello di ‘impopolarità’
da minimo storico: non si può dire che New Neurotic
Realism o Bad Painting o Arte Underground, piuttosto che
Chris Ofili o Joseph Beuys o Damien Hirst o i molti artisti
concettuali dell’odierno panorama mondiale siano in
grado di coagulare un comune consenso, vasto e condiviso,
ma è indubbio che siano premiati dal successo, inteso
soprattutto come visibilità nei settori specifici
e ritorno economico.
Si potrebbe quindi concludere che oggi, perché
un creativo e il suo prodotto si affermino, non è
più necessario che si procurino un “pubblico
consenso” né che posseggano particolari
“capacità sociali”, la maggior
parte dell’architettura e dell’arte moderna
più celebrata è infatti estranea ed incompresa
per il grande pubblico e per la comunità in cui si
esprime.
Ciò può significare che la critica, la pubblicità,
i media, il mercato hanno sostituito il giudizio della comunità,
mettendo in dubbio la dimensione collettiva della creatività
e che campagne divulgative, investimenti finanziari, marketing pilotano oggi ogni valutazione sia sulla innovatività
che sull'utilità di opere che sempre più necessitano
di interpretazione e di mediazione per arrivare alla loro
(presunta) utenza, manipolando il “carattere eminentemente
collettivo e sociale” del prodotto creato.
link:
Ethical
Architecture
Che
mondo sarebbe senza architettura?
************
Commenti, integrazioni ed ampliamenti sui temi introdotti
dall'articolo si trovano nel post 'Architettura
del consenso' del blog di Pietro
Pagliardini :
"L’interpretazione che Boncinelli fornisce
della creatività in relazione al consenso sociale
si presta, come accade spesso in questo campo, alla doppia,
possibile interpretazione.
Al soldato che doveva partire per la guerra e domandava
trepidante se sarebbe tornato vivo, la Sibilla rispondeva
“Ibis, redibis non morieris in bello” lasciando
a lui l’interpretazione nel mettere la sospensione
prima o dopo la negazione, con ciò assicurandosi
un sicuro successo...... " continua
>>>>
Frank L. Wright nel suo studio
(immagine-copertina tratta da Antithesi)
|