Sia perché attratto dal sogno americano
sia perché incalzato dall’avanzare del regime nazista, come tanti intellettuali
dell’epoca Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969) abbandona la nativa Aquisgrana in Germania e
giunge a Chicago nel 1937.
Trascorrerà in America il resto della sua vita, morendo
a Chicago il 17 agosto di quarant’anni fa.
Reduce dall’esperienza della Bauhaus, una parentesi
fondamentale e performante per tutti quanti vi parteciparono,
van der Rohe è affascinato dalla nuova realtà
americana, intrisa di quel pragmatismo e tecnicismo che
ne fanno il terreno ideale per accogliere e rendere fecondo
il messaggio della scuola di Dessau, ed è folgorato
soprattutto, così narra la leggenda, dagli scheletri
strutturali dei grattacieli in costruzione che proprio in
quel periodo sorgono come funghi nelle metropoli d’oltre
oceano.
Forse non fu proprio così, ma è indubbio
che questo giovane architetto europeo sa scorgere nella
loro provvisoria, incompiuta essenzialità la genesi
mentale del progetto architettonico, la purezza concettuale
di un’idea, il rigore linguistico di una funzionalità
basica.
Si fa strada la sua poetica minimalista, per lui "Le
strutture in acciaio nella loro essenza sono strutture a scheletro […..
] la costruzione ad armatura portante di una parete non
portante. Dunque edifici pelle ed ossa", scarni, senza nulla
di superfluo, senza nulla che non derivi da una necessità
precisa ed individuata, senza nulla da nascondere sotto
la cortina trasparente delle facciate, acciaio sotto vetro,
spazio ritmato da tersi diaframmi di materia lucidata e
levigata, sublimata dal gioco di riflessi della luce........
Un mio articolo su Mies van der Rohe è stato pubblicato nella sezione
Cultura del Corriere del Ticino
in occasione della ricorrenza.
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Ludwig Mies van der Rohe
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