Fino a pochi anni fa era possibile individuare
nell’impronta delle città il risultato dei
grandi interventi di adeguamento operati dall’inizio
dell’ottocento, mirati a mantenere un seppur faticoso
equilibrio tra le grandi trasformazioni politiche, sociali e
tecniche provocate dalla rivoluzione industriale ed il tessuto
urbano.
Anche oggi la programmazione urbanistica è spesso
invocata come rimedio generale contro i mali della società
moderna colpevole del degrado e dell’obsolescenza
di ogni disegno urbano, tuttavia questa relazione di causa/effetto
è sempre meno leggibile.
Se la città di fine '800 e del ‘900 si articola
secondo uno sviluppo organico e logico dei percorsi di traffico,
secondo una gerarchia spaziale con opportuni punti di convergenza
e di intersezione, la città del terzo millennio si
sviluppa in modo apparentemente caotico, privilegiando emergenze
puntiformi che caratterizzano episodicamente un luogo circoscritto,
indifferenti alle relazioni con l’intorno. Si concretizza
così la trama discontinua di una città dove
le interconnessioni ed i segnali e i codici di orientamento
nel paesaggio sono pesantemente influenzati non tanto dal
disegno urbano quanto dallo sviluppo delle tecnologie legate
al sistema dei trasporti.
Partendo infatti da un’osservazione semplice ma non
banale, a monte di tutte le considerazioni fattibili circa
i cambiamenti verificatesi nella società degli ultimi
decenni, si potrebbe semplicemente dire che la città
si è adeguata allo sviluppo dei mezzi di locomozione
(ricordo sul tema uno studio di Marc Desportes, “Paesaggi
in movimento. Trasporti e percezione dello spazio tra XVIII
e XX secolo“)
La metropolitana è il mezzo d’elezione di cui
tutte le grandi città cercano di dotarsi per gli
indubbi vantaggi legati ad una viabilità interrata
rispetto ad una di superficie, ed è proprio la metropolitana
che ha cambiato radicalmente quello che si potrebbe chiamare
il ‘senso del viaggio’.
Perché il viaggio non si svolge più nello
spazio, ma nel tempo, tanto che si comincia da più
parti a parlare di progetto urbano time oriented.
"La città del futuro nella quale già
viviamo [.......] - scrive Sandra Bonfiglioli
(Convegno 'Il senso del tempo', Torino 20-21 novembre 2006)
- è una città del tempo. [.....] I luoghi
per eccellenza della città del tempo sono gli spazi
della mobilità: i percorsi "viari"
Il panorama urbano non esiste più, il percorso
è un alternarsi di buio e lampi che non forniscono
alcuna informazione sulla direzione, il tracciato, i luoghi,
un viaggio cieco che termina con l’emersione alla
luce in uno spazio urbano raggiunto senza sapere come. La
maggior parte della gente percorre in metrò ogni
giorno lo stesso tragitto, quasi sempre il percorso casa/lavoro
(ma anche /centro commerciale, /università, /scuola,
/ospedale ecc.), ignorando del tutto quale parte di città
ha attraversato: niente sfilata di palazzi, di facciate
note, di vetrine, piazze ed attraversamenti conosciuti,
incontri, lo spostamento si concentra in un inizio ed una
fine, in mezzo il buio delle gallerie e un tempo marginale
ed improduttivo che deve essere il più breve possibile.
Il luogo di imbarco e quello di sbarco, il più possibile
vicini alla destinazione in modo da ottimizzare l'abbattimento
dei tempi di spostamento, rappresentano l’unico scenario
urbano con cui si viene in contatto.
Brandelli di città fine a sé stessi, i luoghi
sono riconoscibili per ‘quel’ monumento o palazzo,
indifferenziati ‘oggetti urbani’ di grande impatto
ambientale che fungono da cronotopi (*), sorta di matrici
spazio-temporali in grado di generare e caratterizzare la
dinamica della città e della sua ‘narrazione’
(parafrasando Bachtin).
In questo quadro generale acquistano senso e giustificazione
gli interventi delle tanto discusse archistar e la loro
architettura autoreferenziale e decontestuale, portatrice
di un messaggio personale frutto di un soliloquio che non
cerca né confronto né dialogo. Perché
l’abitante metropolitano la percepisce nello stesso
modo segmentario e parziale con il quale essa viene concepita
e calata nel territorio urbano, secondo un processo di interazione
nel quale il fruitore chiede solo che quello spazio urbano
sia riconoscibile ai fini dell’orientamento spazio-temporale.
Cosicché la presenza di un grattacielo storto piuttosto
che di un museo/wc o di un’inaspettata installazione
policroma, segni forti non necessariamente comprensibili,
ma assolutamente caratterizzanti, possono determinare per
ognuno una diversa strategia di “immaginabilità
urbana”, in relazione alla individualità
dell’esperienza.
E la città, come dice Walter Benjamin e come ci ricorda
un antropologo, Alberto Sobrero, continua ad essere "una
grande bestemmiatrice di simboli".
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