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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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La fine dei luoghi
di Vilma Torselli
pubblicato il 21/03/2010
“…….. le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi ……”
(Italo Calvino, "Le Città Invisibili")

Non-lieux , titolo di un libro di Marc Augé del 1992 è un neologismo introdottosi nel linguaggio comune che reca in sé un significato negativo, in quanto contrappone un’entità nota e precisa, il luogo, all’idea di assenza dello stesso: non-luogo è un termine derivato che denuncia una mancanza, non definisce nulla, solo enfatizza che manca qualcosa, con attribuzione implicitamente negativa se per luogo si intende uno spazio non solo geografico, ma anche sociale, identitario, relazionale e storico.

A rafforzare questo concetto va rilevato che Augé non definisce con questi aggettivi il luogo, ma definisce, negandolo, il non-luogo come “né identitario né relazionale né storico”: il non-luogo non è quindi un’alternativa al luogo, non lo sostituisce, non interagisce e non comunica, non c’è dialettica tra ciò che esiste e il nulla, tra un ‘qua’ noto e definito ed un ‘altrove’ sconosciuto e separato.
Il sottotitolo del libro di Augé, “introduction à une anthropologie de la surmodernité” denuncia la possibilità/probabilità che i non luoghi abbiano tuttavia un potere antropogenetico in virtù del quale si potrebbe ipotizzare il graduale affermarsi di un modello di individuo solitario ed instabile che rappresenterebbe per gli stessi antropologi una novità da studiare.
E forse, a distanza di quasi vent’anni dalla pubblicazione di quel libro, si può dire che quella ipotizzata nuova specie antropologica si è strutturata e definita, esiste, è fra noi, parla e cammina, vive.

A questo punto varrebbe forse la pena che architetti ed urbanisti si soffermassero a considerare cosa significhi tutto ciò, come possa accadere che individui in movimento in una società di passanti possano trovare proprio nell’instabilità e nella mutevolezza delle situazioni non-sociali dei non-luoghi momenti casuali e flessibili di aggregazione e disaggregazione, nel superamento del concetto di luogo comunemente inteso.
E scoprire che i non-luoghi (outlet, aeroporti, stazioni, centri commerciali, metropolitane, parchi divertimento) sono oggi una diffusa realtà che esiste accanto ai luoghi e costituisce ben più efficacemente di essi il paradigma della società che abita il mondo globale, per la quale "la situazione di mobilità non è una parentesi, un tempo vuoto: è un momento della vita sociale ….”

Questo salto di qualità, la contaminazione tra luogo e non-luogo, la perdita, per quest'ultimo, del carattere di a-socialità e di anonimato, ne determina fatalmente lo snaturamento : “….. anche questo tipo di spazi sta tramontando di fronte all’esigenza asfissiante che ha il mercato di controllarli, trasformandosi quindi in “luoghi” con telecamere e guardie armate, con la differenza che comunque rimangono senza radici e senza storia. Mentre prima erano la memoria e la storia a determinare l’architettura delle città, adesso sono il controllo e il desiderio di libertà a costruire i luoghi contemporanei.” (intervista a Massimo Ilardi, autore de "Il tramonto dei non luoghi’, 2007)

E mentre i non-luoghi finiscono per diventare luoghi, i luoghi sembrano destinati a divenire non-luoghi in mancanza di quella ‘forma’ che in qualche modo permetteva di definirli come spazio costruito, come aggregato umano, come città: non ha più senso, infatti, parlare di “forma metropoli” “perché la metropoli è la forma mondo che ha dissolto ogni altra forma urbana” (idem).

Ora, entrata in crisi l’idea di città come luogo rappresentativo di un ordine territoriale specchio di un ordine sociale, assistiamo al diffondersi di una sostanziale equivalenza di stili e di luoghi perfettamente intercambiabili, nei quali emerge l'uso funzionale ed efficientista del modello di città meglio rispondente alle esigenze di mobilità, libertà e flessibilità, unici valori riconosciuti da una cultura eminentemente tecnicista e a-finalistica, che si limita a rappresentare il presente, senza prospettive sul futuro e senza finalità alcuna.

E il futuro è dei non luoghi, privi di storia perché privi di passato e di memoria, e compito dell’architetto del futuro è farne i luoghi della vita, se vita ci può essere senza passato e senza memoria.

E viene il dubbio se sia più corretto parlare di tramonto dei non-luoghi e non piuttosto di tramonto dei luoghi.

 
"...... Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l’albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando gli stessi ombelichi che ondeggiavano. Perché venire a Trude?
Mi chiedevo. E già volevo ripartire.
-Puoi riprendere il volo quando vuoi, - mi dissero, - ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome dell’aeroporto


(Italo Calvino, "Le Città Invisibili", 1972)
link:
I nuovi nomadi
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Spaesaggi del terzo millennio

DE ARCHITECTURA
di Pietro Pagliardini


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