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Panorami immaginari
di Vilma Torselli
pubblicato il 13/07/2012 *
Il panorama è tale solo se lo si guarda da lontano.
Da vicino è un posto come tutti gli altri
Camogli, © Copyright Patrizia Traverso

"A Maurilia il viaggiatore è invitato a visitare la città
e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate
che la rappresentano com'era prima
...........per non deludere gli abitanti
occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline
e la preferisca a quella presente.....
"
(Italo Calvino, "Le città invisibili")

La frase dell'abstract non è la considerazione di un filosofo o di un urbanista, è un aforisma di Gualtiero Schiaffino su una foto panoramica di Patrizia Traverso dell’abitato di Camogli nell’ambito della quarta edizione di una mostra del 2012 dal titolo "OGGETTI SMARRITI & OGGETTIVI SMARRIMENTI, un singolare inventario di oggetti curiosi, riscoperti e reinventati con ironia per sorprendere e far riflettere sulla realtà osservata da nuovi punti di vista.
Le foto esposte rappresentano altrettanti ‘SPAESAMENTI, in giro per Camogli alla scoperta di nuovi punti di vista’.
Che, come la mostra ci svela, ci sono sempre, anche quando crediamo di conoscere una città ormai quanto le nostre tasche, di averne percorso innumerevoli vie innumerevoli volte, di averla assaporata ogni giorno da quando siamo nati, di averci investito la nostra vita e i nostri ideali.
L’abbiamo guardata, calpestata, annusata, a tutte le ore del giorno e della notte, con sensualità, con affetto, con la passione degli amanti, con la sensibilità dei poeti, come Garcia Lorca la sua oculta Granada profumata e splendente  en el aire de albahaca ……
E ne conosciamo a memoria il panorama, quello che si definisce ‘il paesaggio urbano’, ad occhi chiusi, quando si acuisce la capacità di produrre immagini mentali, meglio ancora che ad occhi aperti.

La città non è un organismo unico, ma un insieme, una somma di luoghi, caratteristiche, riferimenti, tutto ciò che Kevin Lynch, in un testo magistrale ancora oggi attualissimo, enumera nel tentativo di individuare una metodologia moderna per leggere e progettare il disegno urbano.
Disegno che, grazie ad una paziente opera di assemblaggi e stratificazioni, le varie esperienze depositano nelle nostre menti costruendo artificialmente un paesaggio urbano complesso, un ‘panorama’ che nella realtà possiamo fruire solo in tante limitate e successive percezioni staccate, interiorizzandolo mediante processi cognitivi soggettivi.
Un po' come accade nel cinema, dove tanti fotogrammi staccati e fissi messi in sequenza creano una realtà in movimento inesistente che per giungerci come tale ha bisogno della mediazione dei nostri occhi.

La ricomposizione di tutte le sensazioni è compito dell’esperienza fisica e percettiva di ciascuno, le attribuzioni, le qualità, le specificità del paesaggio urbano sono quelle che i singoli e la collettività attribuiscono ad un luogo teorico e quasi letterario, ad un’immagine mentale diversa per ognuno, poiché nella figurabilità di una città, i riferimenti ambientali, i percorsi, ciò che si incontra andando in ufficio, a scuola, a fare shopping, non necessariamente  rivestono per tutti la stessa importanza né vengono da tutti percepiti  nello stesso modo.
Frequentata in modo differenziato, con diversi scopi, interpretata secondo sistemi di valori non omogenei, la città disvela ad ognuno un diverso disegno, non fosse per il semplice fatto che, andando a destinazione per strade differenti, certi punti della città possono risultare familiari o sconosciuti, percepiti positivamente o negativamente o comunque in modo ineguale a seconda delle abitudini.

Anche la Convenzione Europea del paesaggio, lo definisce come “parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni ………….  componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale, nonché fondamento della loro identità”, recependo un  nuovo concetto di paesaggio come bene comune (regolato da una specifica disciplina giuridica) avente una dimensione soggettiva risultante dall’elaborazione percettiva degli abitanti. Questo paesaggio “olistico e sociale“ coinvolge tutto il territorio libero ed urbanizzato, naturale e antropizzato, in un’idea di paesaggio estesa e soggettiva che riassume lo spazio urbano inteso sia come costruzione mentale, sia come pura esperienza fisica: così inteso, esso deriva la propria bellezza non necessariamente da una integra conservazione ambientale, ma anche dai mutamenti attuati dall'uomo consolidatisi nel tempo in identità estetica e culturale del luogo.
Il concetto base è che, come tutte le percezioni umane, anche il paesaggio passa attraverso il filtro della sensibilità, della formazione e della capacità d'osservazione e d'analisi di ogni individuo, divenendo così un habitat culturale.

L'iconografia di questo paesaggio diffuso, nella memoria collettiva origine di tutto, riferimento cardine della città, rimanda quasi sempre al 'centro', specie in Italia dove abbondano i 'centri storici', concetto retto sulla tensione da sempre coltivata tra distanza e vicinanza, fondamentale per il consolidarsi di un senso comunitario basato sulla prossimità, anche fisica, dei membri della società.
Ciò perché, inevitabilmente, obbediamo ad un “senso cenestetico della città, il quale esige che ogni spazio urbano abbia un centro i cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare e in rapporto al quale dirigersi e allontanarsi, in una parola, inventarsi ….. il centro delle nostre città è sempre pieno: luogo contrassegnato, è lì che si raccolgono e si condensano i valori della civiltà ………”  (‘L’impero dei segni’, Roland Barthes, 1970)
Questo senso della concentricità della città, di origine culturale, utile ad un equilibrato sviluppo territoriale e sociale, viene conservato e trasmesso con l’evoluzione e perpetrato attraverso l'immagine del centro come la parte migliore della città, la più degna di essere tramandata.
Tanto che, in una interazione a doppio senso tra uomo costruttore e città costruita, l’uomo tendenzialmente propende a costruire a somiglianza del costruito, rappresentato dal centro, anche se quanto esterno raccoglie significati che esso rifiuta o reprime, ma che tuttavia sono indispensabili alla esistenza stessa di un centro che non avrebbe identità senza le relazioni binarie che lo connettono ai margini.

Come non accade nell’arte visiva, quando l’irruzione dell’Espressionismo e dell’Astrattismo  inaugura il concetto di composizione all over, anti-cenestetica, adirezionale ed acentrica, isotropa e indifferenziata dove le relazioni tra gli elementi del linguaggio si connettono attraverso le loro funzioni e non le loro posizioni, acquisendo di volta in volta significato dal loro modo d'uso: un quadro di Pollock, di Riopelle, Vedova o Rothko sono metaforiche città “senza indirizzi”, le città labirinto del “flaneur”, percorribili senza direzione e senza mappa in percorsi casuali dove ognuno può instaurare una relazione di significato in base, genericamente, al bisogno di dare significato insito nell’uomo, e, specificatamente, in base alle esperienze personali che gli fanno ‘significare’ il suo mondo.

Ancora una volta l’arte risolve a modo suo, con la creatività e la libertà che le sono proprie, secondo una logica variabile che non cerca conforti o conferme, la possibile esistenza di un ‘centro mobile’, inquietante ossimoro uscito dagli incubi peggiori di un urbanista, che scorre lungo le vie di comunicazione, dove il viaggio è sempre diverso dal programma e l’arrivo è continuamente rimandato.
Parafrasando Korzybski , "the map is not the land", il centro di una città osservato su una riduzione planimetrica o su una tavola urbanistica o in una cartolina panoramica non è quello che percepiamo quando ci troviamo nel centro fisico di una determinata città, il panorama fotografato non corrisponde alla rappresentazione mentale che ci siamo costruiti nel tempo.

Può servire citare un breve aneddoto (sulla veridicità del quale, tuttavia, non metterei la mano sul fuoco): durante una conversazione con Picasso,  un signore tirò fuori dalla tasca una foto della propria moglie e gliela mostrò dicendo “vede, questa è mia moglie, è un’immagine molto fedele, lei è proprio così” . “Bene – rispose Picasso – vedo che sua moglie  è molto sottile ed alta 10 cm …..”
Come il nostro panorama, sottile, lucente, formato standard, a colori o b/n.

* articolo aggiornato il 04/09/2020

link:
Stefano Baratti, "Lawrence Beck, fotografo-Silenzio ed estasi nel paesaggio"
Alessandro Tempi, "Il ritorno del paesaggio: Ana Kapor"
Mollette e cetrioli


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