Vi sono luoghi come Armilla, in ognuna delle nostre città, “luoghi esterni, strani luoghi esclusi dagli effettivi circuiti produttivi della città. Da un punto di vista economico, aree industriali, stazioni ferroviarie, porti, vicinanze dei quartieri residenziali pericolose, siti contaminati ……. aree dove possiamo dire che la città non esiste più”, così scrive Ignasi de Solà Morales (“Quaderns”, n. 212, 1996) applicando a questi luoghi l'appellativo di terrain vague.
Termine estremamente suggestivo, il terrain vague non è una landa desolata, terrain vuol dire appezzamento, area disponibile, vague sta per incerto, indefinito ma anche vuoto, in attesa di un segno tutto da inventare che lo connoti e ne faccia un luogo.
“La relazione tra l’assenza di utilizzazione e il sentimento di libertà è fondamentale per cogliere tutta la potenza evocatrice e paradossale del terrain vague nella percezione della città contemporanea. Il vuoto è l’assenza, ma anche la speranza, lo spazio del possibile” scrive ancora Ignasi de Solà Morales: su questa ambiguità semantica, sul significato doppio di entità priva di preciso significato e al tempo stesso capace di accoglierli tutti, il terrain vague si rivela inaspettato serbatoio di risorse colmo di potenzialità impensate.
Per la sua caratteristica di interstizialità, di spazio intermedio, per essere una realtà in-between che si incunea, ricuce, attraversa, un reliquato sfuggito alla città diffusa dove l’unica azione possibile resta quella di “padroneggiare il vuoto” come auspica Koolhaas ("S,M,L,XL", 1997), il terrain vague obbliga infatti a pensare nuove strategie operative e nuove modalità di riuso secondo una progettazione informale e antiretorica che non può avvalersi di riferimenti precedenti.
Territorio dell'abbandono, organismo di frontiera e di confine, di distacco e di cuscino tra quartieri consolidati e diverse realtà, come accade nell’evoluzione genomica in quella che si chiama exaptation, quando una innovazione non specificatamente selezionata viene proficuamente utilizzata per fini non previsti, così il terrain vague, realtà urbanistica non intenzionalmente pianificata, elemento residuale senza specificità, non normato, si apre a nuove funzioni e si piega a nuovi utilizzi, organici alle dinamiche di trasformazione della città.
Come il concetto di
exaptation, inventato da Stephen J. Gould ed Elisabeth S. Vrba, vuol distinguere, nell'evoluzione della specie, gli 'adattamenti' e le loro funzioni dagli 'effetti' fortuiti ed accidentali casualmente utili seppur non selezionati per uno specifico ruolo, così il concetto di terrain vague può definire uno spazio aprogettuale puramente pragmatico in attesa di risignificazione.
Campo di battaglia delle guerre urbane tra bande giovanili, il terrain vague di un celebre film di Marcel Carné (“Terrain vague”, 1960) girato nelle banlieue parigine, emblematico del contesto storico di quegli anni, ingloba un significato negativo, sia sul piano urbanistico che su quello sociale, ma oggi, in epoca di recessione economica, di crisi epocale dell’attività edilizia, nella diffusa consapevolezza della necessità di arginare il consumo di suolo, il terrain vague, spazio in attesa in un tempo sospeso, vuoto urbano, resto di qualcosa d’altro, junkspace o wasteful space o comunque lo si voglia chiamare, non è necessariamente un disturbo a cui rimediare o un problema da risolvere, ma può costituire una nuova risorsa urbana, una sorta di implosione spaziale che fa dei propri difetti, l’incertezza e l’indefinitezza, un nuovo valore.
“...... questa assenza di limite, contiene esattamente le aspettative di mobilità, erranza, tempo libero, libertà.”, aspettative che la moderna metropoli è chiamata a soddisfare, non attraverso una reintegrazione nella logica produttiva e funzionale della città, ma nella salvaguardia dello stato antistrutturalista del terrain vague, del suo essere incongruo, non redditizio, fuori dal sistema e proprio per questo portatore di un nuovo concetto di urbanistica intesa come "scienza nomade", basata sulla modifica, su strumenti imprecisi e casuali, in grado di coniugare l’assenza di funzione e di utilità con l’aspirazione e la necessità di innovazione e libertà.
"E' nel recupero di questi luoghi, attraverso una forma di riconoscimento diretto e soggettivo, attraverso operazioni di 'appropriazione', ovvero di presa di coscienza delle potenzialità immaginifiche e di trasformazione intrinseche, che risulta possibile un processo di mutazione in cui i soggetti fruitori divengono i maggiori protagonisti della realtà urbana." (Francesca Iovino, "Total machine") |