Una cosa, almeno, la nuvola di Fuksas ci insegna: che ogni nuvola, sia essa in cielo che in terra, è diversa da tutte le altre……
È quello che viene in mente guardando “Les Nuages” della Grande Arche a Paris La Defence, dettaglio fondamentale della monumentale struttura di cui il progettista Otto von Spreckelsen affida il completamento a Paul Andreu, il quale porta a temine l’incarico negli anni 1986/1989 sotto la supervisione dello stesso von Spreckelsen, che morirà nel luglio del 1989.
Derivato dal latino nubilum, sostantivo di genere neutro, il termine “nuvola” evoca nell’immaginario collettivo un’idea di lievità, le nuvole, infatti, sono impalpabili idrometeore sospese nell’aria, mobili e variabili alla mercé del vento.
Da sempre, per poeti, pittori, filosofi e santi, le nuvole hanno rappresentato l’immagine del sogno, della fuga verso l’altrove, lontane e spirituali, luogo di irraggiungibili visioni.
Già Aristofane (siamo nel 423 a.c.), in una sua commedia teatrale, per deridere le fumose teorie di Socrate trova nelle “Nephèlai” impalpabili ed evanescenti il simbolo di un insegnamento filosofico a suo parere astratto e inconsistente, poi scriveranno di nuvole Lucrezio, Luciano, Hölderlin, Goethe, Heidegger …… e per tutti “nuvola” è sinonimo di leggerezza.
Ma nonostante la leggerezza sia una sua imprescindibile attribuzione, “nuvola” non è una parola da usare ‘alla leggera’.
Nell’insieme planimetrico del progetto, “Les Nuages”, sospese ad una quota fra i 12 e i 22 metri di altezza dal piano di calpestio nel vuoto centrale (tanto vasto che potrebbe contenere l’intera cattedrale di Notre Dame), in confronto alla geometrica imponenza volumetrica dell’edificio principale costituiscono un destabilizzante scarto di scala sia dimensionale che concettuale, fortemente voluto da von Spreckelsen per rendere ‘umanamente’ leggibile un’architettura così disumanamente gigantesca.
Entro un impianto generale fortemente contestualizzato
nel tessuto urbanistico parigino ed al tempo stesso di grande valenza oggettuale rispetto ad esso, "Les Nuages" hanno il compito accessorio e marginale di proteggere il pubblico dalle intemperie atmosferiche nell’attesa di accedere alla struttura, e per realizzare quel riparo il progettista utilizza materiali altamente performanti in versione marcatamente funzionale ed apparentemente slegata da ogni suggestione stilistica dell’edificio principale.
Per la copertura, che misura 2300 mq, è stata impiegata una membrana architettonica in teflon tesa su una grata metallica in acciaio sospesa a cavi ancorati al suolo e alle pareti dell’edificio, il tutto assemblato con snodi, bielle, placche di ancoraggio, sfruttando al meglio la resistenza dell’acciaio e la duttilità della membrana che si adatta plasticamente alla doppia curvatura prevista dal progetto.
L'effetto è quello di un telo gonfiato dal vento trattenuto da esili cavetti metallici come un palloncino gigante legato al suo filo o una mongolfiera precariamente ormeggiata, pronti a volare e a perdersi tra le nuvole per ricongiungersi al loro ambiente naturale.
Senza l’impiego di tonnellate di titanio e sofisticati software progettuali come ci ha abituati ad aspettarci una archistar che oggi va per la maggiore, questa essenziale tensostruttura minimalista ed elegante sfrutta con intelligenza l’adattabilità di elementi in realtà standardizzati sia per le parti in tessuto che per quelle in acciaio, giocando abilmente sulle loro proprietà geometriche e meccaniche e riuscendo a coniugare inventiva, qualità ed economia del progetto e della sua realizzazione.
Come accade in natura per la formazione delle nubi, la composizione spaziale segue un andamento verticale ascendente, la sua leggerezza è accentuata dalla luce naturale che scende dall’alto e che la permea attraverso gli anelli trasparenti al centro delle singole sezioni del telo, tanti oblò che di sera danno vita ad una straordinaria coreografia luminosa che dal basso lambisce le pareti dell’Arche.
Rinnovando ad ogni tramonto una magia. |