Nel 1929 Hugo Alvar Henrik Aalto (1898-1976) con la moglie Aino vince il bando di gara per la costruzione dell’ospedale-tubercolosario di Paimio, in Finlandia, e nel 1931, prima che la struttura venga ultimata (lo sarà nel 1933), vengono incaricati anche della progettazione degli arredi.
Il pezzo più noto della collezione, quello che renderà popolare nel mondo il nome del suo progettista è la poltrona Paimio, nota anche come poltrona 41, oggi nella collezione permanente del MoMA di New York e del Museo del design finlandese di Helsinki, una seduta tutt’ora prodotta da Artek (acronimo che unisce le parole arte+ tecnologia) ditta di produzione di mobili finlandesi fondata dallo stesso Aalto per meglio gestirne il marketing e la distribuzione. Nel 2013 il marchio Artek verrà acquisito dall’azienda svizzera Vitra nell’ambito di un progetto commerciale-culturale teso a rilanciarlo.
Aalto, come tutti i giovani architetti della sua generazione che si sono conquistati con una guerra civile l’indipendenza politica, l’autonomia amministrativa e la libertà di recuperare i valori radicati nella propria cultura nazionale occupa ben presto un posto di rilievo nella Scuola nordica del '900, specie con la partecipazione all’Expo del 1939 a New York, manifestazione di rilevanza mondiale, occasione di confronto tra nazioni lontane sia geograficamente che culturalmente e preziosa opportunità per scambiare e diffondere sapere, tecnologia, conoscenza, informazione.
Progetta nell'occasione il Padiglione della Finlandia, dove il legno, materiale fondamentale nel suo paese, asseconda il dispiegarsi di una grande parete morbidamente ondulata in chiara contraddizione con i dettami dell’imperante International Style e si collega idealmente all’architettura organica di Frank Lloyd Wright riaffermando una poetica organicista che, specie nell'Europa del nord, pare coincidere con una categoria dello spirito. Per saperne di più >>>>>
Quando Aalto progetta la 41 l’esperienza della Bauhaus si è appena conclusa, ma la splendida avventura guidata da Walter Gropius, Mies van der Rohe, Marcel Breuer lascia tracce indelebili in tutta l’architettura, il design, l’arte seguenti ed è forte la tentazione di assecondare le istanze del Razionalismo lecorbusiano per sperimentare nuove tecniche e nuovi materiali (Aalto possedeva ed apprezzava la Wassilij di Breuer).
Ma il metallo non è nel DNA dei finlandesi che da sempre utilizzano il legno dei loro boschi di betulle di cui dispongono in abbondanza, sanno lavorarlo, curvarlo, sagomarlo, lo fanno da secoli quando costruiscono le proprie case, le imbarcazioni, i mobili, gli utensili, gli sci.
Raramente Aalto devierà dalle sue scelte privilegiando quasi sempre forme empiriche mutuate dalla natura e contaminerà la linea rigorosamente ecologica dei suoi progetti solo quando la sua attività di designer esigerà l'introduzione di elementi metallici di produzione seriale.
Per la 41 l’anima ambientalista del padre dell'architettura organica finlandese orienta la scelta sul legno di betulla naturale per la struttura portante e i braccioli, sul compensato di betulla curvato per la scocca, entrambi ottenuti piegando il materiale secondo un disegno continuo ondulato e fluido di estrema eleganza e leggerezza, una seduta senza spigoli, senza imbottito eppure morbida, studiata per una postura ergonomica, in linea con la progettazione degli spazi interni dell’ospedale, ariosi, riposanti, luminosi, dai colori neutri antiriverbero, giallo chiaro e bianco caldo.
In Aalto design e architettura vanno in un’unica direzione per confluire sempre e comunque nel focus del suo interesse, il miglioramento del benessere dell’essere umano, il soddisfacimento delle sue esigenze “sociali, umane, economiche, connesse a problemi psicologici che toccano tanto l'individuo quanto il gruppo”, queste le sue parole.
Da ciò Aalto deriva la capacità di progettare “a misura d’uomo” secondo una sorta di Human-Centred Design ante litteram che coniughi una complessità di fattori di tipo non solo progettuale e si apra ad un nuovo Umanesimo che metta l’uomo al centro della propria storia. |