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Limportante è finire
di Vilma Torselli
pubblicato il 18/09/2006 |
L'inequivocabile
titolo di una celebre canzone di Mina corrisponde, nei termini
semplicistici ma efficaci di un linguaggio da casalinga di Voghera,
a ciò che viene in mente entrando oggi a Barcelona nella
Sagrada Familia, l'opera più famosa di Antonio Gaudi,
acme della sua vicenda umana e professionale, capolavoro incompiuto
che presenta terminate solo la cripta, l'abside e la Fachada
del Nacimiento. |
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Fortunatamente l'architetto della Sagrada Familia, mettendo in atto una delle sue
lucide follie anche nella direzione dei lavori indubbiamente
originale, anziché procedere per strati orizzontali
dalla pianta generale delle fondazioni verso l'alto, ha invece
proceduto per settori compiuti nella verticale, cosicché
ciò che vediamo oggi è perfettamente finito,
seppure parziale e mancante dell'inserimento entro una struttura
generale.
Si stima che, stante il ritmo dell'andamento dei lavori, dall'inizio dei cantiere ci
sarebbero voluti altri 140 anni per terminare l'opera, probabilmente
ne era conscio lo stesso Gaudì, che lavorò febbrilmente
fino alla morte al suo progetto per portarlo il più
vicino possibile a ciò che la sua mente visionaria
vedeva già compiuto in quell'immenso cantiere disordinato,
nei massi di pietra grezza, nelle statue abbozzate, in un
delirio creativo molto vicino all'allucinazione.
Grandioso tempio espiatorio, opera aperta, monumentale work
in progress volutamente incompiuto, tappa di un processo progettuale
e morale che non può essere espresso nella sua interezza
perché in continuo divenire, frutto di un rigorismo
religioso che traborda nel fanatismo mistico, cantiere perpetuo
come forse il suo progettista voleva, o temeva, o riteneva
inevitabile, la Sagrada Familia accoglie oggi il visitatore
immersa in un trionfo di impalcature, ponteggi, palizzate
e gru che superano da più parti con leggera noncuranza
i 120 metri della sua guglia più alta.
Compromessa da queste superfetazioni la lettura del profilo
esterno, sbarrati e strozzati i percorsi interni in corridoi
obbligati affollati di turisti disorientati costretti a fare
più attenzione a dove mettono i piedi piuttosto che
gli occhi, l'impressione è quella di essere arrivati
troppo presto e che meglio sarebbe stato aspettare la fine
dei lavori - e magari anche il collaudo statico - vista l'atipicità
delle strutture.
Non so come possa svolgersi in tanta confusione e con tante
limitazioni un normale lavoro di cantiere, né so quanto
l'interminabile completamento dell'opera giochi nel mantenere
alta un'aspettativa in grado di tener vivo l'interesse turistico
nei suoi confronti.
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Certo è che pare sfuggire
ai responsabili che questo straordinario "rudere
del futuro" deve molto del suo fascino proprio
al non-finito, all'incompiutezza che costringe il visitatore
a guardarsi attorno per cercare corrispondenze che non ci
sono, una copertura mancante, una navata mai costruita,
coinvolgendolo nel processo di creazione dell'opera, costringendolo
ad addentrarsi in uno straordinario percorso creativo ribollente
di talento, di immaginazione e di follia per giungere ad
un immaginario e personale compimento.
Ciascuno a suo modo, infatti, mettendo in atto un approccio
gestaltico che da una parte ricostruisca un tutto, può
guardare la Sagrada Familia ed immaginarsela finita, compiendo
attivamente un iter mentale che va ben oltre l'esperienza
puramente percettiva, unico modo possibile per capire l'infinita
evoluzione della fede religiosa di un genio esaltato che continuamente
si verifica e si modifica.
Anche se fosse vissuto oltre ogni limite umano, probabilmente
Gaudì non avrebbe mai completato la sua cattedrale,
continuamente sospinto oltre i limiti del suo stesso progetto
da un febbrile desiderio di sperimentare, cercare, trovare
nuove vie: cosicché il non-finito appare come una sua
scelta volontaria e consapevole per esprimere il non-detto
o non dicibile, il non-visto o non visibile, ponendo domande,
sollecitando risposte, perché più il discorso
è incompiuto ed indefinito, più spinge l'interlocutore
a completarlo e ad interpretarlo.
A nessuno verrebbe in mente di armarsi di martello e scalpello
e finire la Pietà Rondinini, o completare la modellazione
dell'Ecce puer, in entrambi i casi, come nel capolavoro di
Gaudì, al protagonismo della forma si oppone il protagonismo
di una materia che ancora "gronda attorno all'anima",
più finita, meno finita, non-finita, indefinita, la
materia che, plasmata da un demiurgo artista-scultore-poeta
casualmente architetto, ne esprime con dirompente soggettività
il sofferto cammino umano.
Che nessuno può compiere in sua vece.
Scrive Gilbert Lascault di come il piacere davanti all'opera
d'arte risieda "nello sfumato, nello sfilacciato,
nel disperso, nell'impuro, negli abbozzi di descrizioni di
particolarità che si rifiutano di venire generalizzate",
un piacere lontano dalle certezze e da ogni puntigliosa finitura,
radicato nella polimorfa eterogeneità della cultura
moderna, dove è sempre più difficile definire,
catalogare, affermare e dove il non-finito appare più
che mai espressione perfetta di una società in mutamento,
non-finita, anzi mai-finita.
E' questa la straordinaria modernità di Gaudì
e della sua Sagrada Familia.
L'importante è non finire!
* articolo aggiornato il 5/3/2012
link:
Antonio Gaudì
La Sagrada Familia sarà pronta nel 2026
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