Tutto ciò che l'uomo ha potuto escogitare per modificare l'ambiente è stato, nel tempo, strumentalizzato per colonizzare la terra e dimorarvi, rendendola abitabile, e poiché il mezzo d'elezione per raggiungere questo fine è sempre stato quello di costruire, è così che, fino ad oggi la definizione dei luoghi antropici è stata affidata all'architettura ed all'urbanistica, capaci non solo di rendere possibile il dimorare, ma anche di rappresentare con efficaci metafore ordini sociali, ideologie politiche, concezioni religiose, forme di un'idea e materializzazioni di un concetto di portata più ampiamente filosofica.
Il concetto di spazio, di interno ed esterno, di pieno e di vuoto, di luogo, di territorio, sono stati analizzati ed interpretati secondo questa chiave di lettura, sostanzialmente antropocentrica, partendo dall'idea che sia l'ambiente sia l'architettura possano/debbano relazionarsi con l'individuo o la collettività che ne fruiscono in qualità di asseità identificabili, dotate di storia, di memoria, di cultura specifiche, frutto di un passato comune e proiezione di comuni aspettative reali e psicologiche.
In questi termini, la città costruita dall'uomo, rassicurante simbolo di partecipazione ed appartenenza, acquisisce un inarrivabile spessore storico, assieme a peculiari connotazioni fisiche, colori, suoni, odori, tali da farne il luogo in cui si radicano e si tramandano le tracce di una grande storia collettiva, insieme di uno sterminato numero di storie individuali, di cui il monumento e l'architettura sono testimonianze: è lì che abita il cittadino inteso come individuo stanziale, parlante una certa lingua, erede di una tradizione culturale, legato a luoghi, usi e costumi specifici.
Oggi, tuttavia, è sempre più difficile ed anche francamente sbagliato porre pregiudiziali di appartenenza ad un gruppo o ad una struttura culturale ben definita da confini di ambito in una società sempre più liquida, indifferenziata, pluralistica e globalizzata che, realizzando una vera e propria “utopia planetaria”, è costituita ormai dalla nuova specie antropologica della surmodernité, abitante di uno spazio pubblico di dimensione indefinitamente allargata.
In un mondo senza confini, dove ciò che conta non sono più i punti fermi della sedentarietà e della stanzialità, ma i canali di flusso, le traiettorie, le migrazioni, ciò che veramente importa sono i nodi, i centri di aggregazione, le zone di transito, i collegamenti, le reti, i punti cruciali in cui le direttive convergono o si intersecano e dove confluisce una nuova umanità fatta di individui simili ma soli, vicini ma anonimi gli uni per gli altri, individui senza volto che si sfiorano senza comunicare: sono i luoghi di sosta, i supermercati, gli stadi, la rete viaria, i parcheggi, gli aeroporti, le stazioni, le autostrade, sono i non luoghi.
Lo spazio web è proprio questo, un non luogo, anzi il non luogo per eccellenza, privo di qualsiasi connotazione architettonica, di dimensione, di storia, di cronologia, dove gli utenti di una comunità provvisoria entrano ed escono senza permesso, dove l'esistenza di uno spazio, o di un sito è legata alla sua sola visibilità, dove si realizza, senza integrazione, la coesistenza e il contatto intermittente di individualità distinte e reciprocamente indifferenti, dove dominano quelli che Marc Augé definisce i tre eccessi della contemporaneità: l'eccesso di informazione, di immagini, di individualizzazione.
“Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città…..” (William Gibson, “Neuromancer”, 1984), non luogo delle non persone, il cyberspazio non nasce con una vocazione territoriale e relazionale tesa alla costruzione di patrimoni comuni ideali o simbolici, ma per agevolare la circolazione e l'interazione tra estranei che per vie diverse accedono alla stessa informazione, andando alla deriva in spazi informatici virtuali e condivisi come in una sorta di immensa periferia di una città senza impianto urbanistico e senza centro storico.
E' possibile abitare una simile città, è possibile abitare la rete?
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