In
realtà tutti gli espressionisti subiscono il fascino
della tradizione culturale del vecchio continente, magari
in un distorto rapporto di odio-amore, e tutti affondano più
o meno consapevoli radici in quel movimento europeo che la
fuga dalla seconda guerra mondiale e dalle misure antisemite
spinge oltre oceano, alla ricerca di una nuova 'casa': a fornirla
sarà Peggy Guggenheim, che apprezza, accoglie e protegge
gli artisti del Surrealismo, questo il nome del movimento,
e qualcuno lo sposa pure.
Il Surrealismo
di importazione, a contatto con una realtà socio-culturale
profondamente diversa, perde la connotazione intellettualistica
ed introspettiva di derivazione europea per abbracciare il
turbolento linguaggio gestuale degli action painters, la violenta
estroversione di Jackson Pollock, il rarefatto spiritualismo
di Mark Rothko, l'astrattismo lirico di Sam Francis, la poetica
dell'inconscio di Barnett Newman, diventando altro, come succede
sempre quando un fenomeno culturale approda al suolo americano.
Prevale, come si addice ad artisti in gran parte di origine
ebraica - sono ebrei Mark Rothko, Morris Louis, Arshile Gorkij
e molti altri, così come la maggior parte dei profughi
surrealisti - una rigorosa aniconicità ("Non
avrai altri dei al mio cospetto, non ti farai alcuna scultura
né immagine qualsiasi di tutto quanto esiste in cielo
al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto
della terra") ed un segno calligrafico o ideogrammatico
dispiegato in grandi vuoti e mistici silenzi attraverso un'ampia
gestualità a volte concitata ed a volte solenne e ieratica.
Il MOMA accoglie entusiasticamente nella sua collezione permanente
le opere degli espressionisti, Nelson Rockefeller ne piazza
2500 esemplari sulle pareti delle Chase Manhattan banks, la
Central Intelligence Agency, o meglio il ramo O.S.S. (Office
of Strategic Services), specificatamente dedicato alla guerra
fredda culturale, fa il resto, cosicché l'America finisce
per avere finalmente un'arte che la rappresenta, quantomeno
nell'immagine che essa vuol dare di sé al resto del
mondo, un'arte libera e democratica in un paese libero e democratico,
nella quale l'individualismo ed il soggettivismo hanno possibilità
di esprimersi come in nessuna altra nazione del mondo, men
che meno in regimi totalitari e repressivi dove l'arte è
irreggimentata entro il rigido linguaggio costruttivista.
La storia dell'arte moderna americana ha finalmente un inizio.
Il metodo impiegato per l'affermazione sulla
scena mondiale dell'arte moderna americana è sovrapponibile a quello usato
per l'architettura, in entrambi i casi gli strumenti utilizzati sono gli stessi,
i media, il danaro e la benevolenza della comunità ebraica. "Di
fronte a voi europei io sono veramente un emissario della terra, che predica il
sale di una nuova vita. Io vi invito ad essere un po' meno autocoscientemente
educati e conservatori, a essere più liberamente ragionevoli"
scrive Frank Lloyd Wright, che per primo proclama una sua dichiarazione di indipendenza
dalla sudditanza culturale nei confronti dell'Europa e chiede "Indipendenza
dal classicismo, nuovo e vecchio, e da ogni atteggiamento di devozione ai cosiddetti
classici" prendendo una posizione categorica ed integralista a favore
di un'architettura nuova, legata al proprio ambito culturale, territoriale e sociale,
la sua architettura organica, che esprime "una società organica",
la società americana moderna.
Si è dovuto aspettare il 1988 perché venisse
ribadita con altrettanta fermezza e consapevolezza una decisa
presa di posizione a favore di una supremazia culturale eminentemente
americana da parte di un agguerrito manipolo di architetti
d'assalto, Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Peter Eisenman,
Bernard Tschumi, Zaha Hadid e il gruppo Coop Himme(l)blau ,
presentati al mondo in una memorabile conferenza-déja
vu al MOMA di New York (come non ricordare, infatti, "The
Responsive Eye" ?) da quel Philips Johnson che, sulla
breccia da più di mezzo secolo, si riscatta così
dall'aver caldeggiato la sostanziale sudditanza dell'architettura
americana nei confronti dell'Europa: nel 1991 sempre Johnson
presenta alla Biennale di Venezia, anche questo un chiaro
déja vu, i suoi gioielli, Eisenman e Gehry, rimangiandosi
definitivamente ed elegantemente certe sue contrastanti posizioni
degli anni trenta e la sua adesione, nel 1932, all'International
Style, a suo tempo suggellata dall'immancabile mostra al MOMA.
Come gli espressionisti, anche questa nuova generazione
di architetti decostruttivisti che pone le sue basi teoriche nelle costruzioni
mentali di un filosofo francese, Jacques Derrida, non si sottrae all'influsso di ciò che
è accaduto nell'Europa avanguardista ed è possibile rintracciare
echi soprattutto dadaisti, futuristi e surrealisti nell'opera di Gehry piuttosto
che di Eisenman o Tschumi. Anche in questo caso si contano parecchi aderenti ebrei
o di origine ebraica - Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Peter Eisenman, per esempio
- il che spiegherebbe forse la decostruzione nei termini dell'aniconicità
formale di una architettura non prevedibile, che gioca pesantemente sulla destabilizzazione
percettiva del fruitore. L'architettura americana, comunque, che non ha capito
e valorizzato appieno l'opera di Wright e che non ha avuto reale coscienza della
superiorità del funzionalismo americano nei confronti del razionalismo
europeo, si affranca finalmente dall'Europa a seguito di un vasto programma di
diffusione e promozione della sua architettura decostruttivista e dei suoi rappresentanti,
colonizzando culturalmente vasti spazi del vecchio continente con musei, mausolei
e grattacieli decostruttivisti spesso chiaramente fuori luogo, fuori tempo e fuori
contesto - le strutture amebiche a forma di brioche di Frank O. Gehry, quelle
concettual-cervellotiche di Peter Eisenman, quelle vuotamente metafisiche di Daniel
Libeskind, tanto per far tre nomi che vanno per la maggiore. Non è
certo una novità il fatto che il potere politico strumentalizzi e sfrutti
la cultura come mezzo di affermazione politica - Bruno Zevi, ben conscio del potere
dell'architettura, l'ha definita "
il termometro e la cartina al
tornasole della giustizia e delle libertà radicate in consorzio sociale.
Decostruisce le istituzioni omogenee del potere, della censura, dello sfascio
premeditato e progetta scenari organici." - ci sono stati artisti ed
architetti di regime in tutti i tempi ed in molti luoghi, ed è statisticamente
rilevabile che storicamente il tentativo di imporre vincoli espressivi legati
alle forme della tradizione figurativa costruttiva, classica in particolare, prevale
nei regimi totalitari.
E' doveroso osservare che se una società pluralista,
aperta alla ricerca del nuovo che quindi lascia spazio all'inventiva degli individui,
come accade in sostanza nei regimi democratici dell'occidente ed in quello americano
nella fattispecie, sceglie, per evidenti motivi di propaganda, di rappresentarsi
con un'arte libera e critica anche nei confronti del suo stesso sistema sociale
e delle sue deficienze, contribuisce di fatto al proprio benessere ed alla propria
crescita morale nella misura in cui utilizza le forme di libertà espressiva
per diagnosticare e denunciare i propri mali. Tuttavia l'esistenza di un 'metodo
americano', insospettabile nella società più libertaria del pianeta,
ci insegna che ci sono molti modi per intendere la libertà e diverse strategie
per aggirarla, anche apparentemente promuovendola. |