Sviluppando alcune fondamentali
intuizioni già elaborate negli ambiti del Futurismo
(lo sbocco cinetico della figurazione boccioniana come esito
estremo della sua dinamica spaziale), del Costruttivismo (l'accentuazione
del momento metodologico) e del Surrealismo (l'automatismo
dell'opera), gli artisti cinetici mirano a sperimentare una
gamma estremamente ricca di possibilità di movimento
nell'opera d'arte, che per essi va a coincidere con la messa
in atto di puri meccanismi. Le opere cinetiche sono infatti
strutture semoventi e continuamente variabili, che tuttavia
obbediscono a procedure di funzionamento determinate dal calcolo
e da una rigorosa programmazione, pure se in frequente rapporto
dialettico con fattori aleatori (1). Ciò che
caratterizza queste opere è pertanto il movimento,
che da un punto di vista estetico significa possibilità
di modificare il proprio assetto strutturale col variare delle
condizioni spaziali e temporali, modificando nel contempo
i dati che se ne offrono alla percezione umana.
Nelle opere cinetiche il movimento può essere di due
tipi: reale, cioè prodotto da meccanismi elettromagnetici
oppure indotto da agenti naturali (nel caso dei "Mobiles"
di A.Calder); oppure virtuale, vale a dire come risultato
apparente di effetti visivi e percettivi alterati dalle ingerenze
dell'osservatore nello spazio dell'opera (come nel caso della
pittura "optical" di V.Vasarely). Questo secondo
tipo di movimento pone in evidenza una delle caratteristiche
più significative dell'estetica cinetica: le opere
sollecitano una più diretta ed attiva presenza dell'osservatore,
che è chiamato a stabilire con esse un rapporto di
immediatezza percettiva prima che di comprensione od interpretazione.
Da questo fatto si capisce anche quali siano, in fondo, le
direzioni in cui questa particolare estetica si orienta: da
un lato l'accrescimento nell'uomo di una generale consapevolezza
percettiva, dall'altro l'approfondimento di tutto ciò
che concerne l'esperienza degli eventi visivi che tuttavia
qui si esprimono attraverso un vocabolario rigorosamente aniconico.
Concorrono tuttavia a specificare l'arte cinetica alcuni fattori
estrinseci che ne rivelano anche le sue ambizioni di ricerca
parascientifica: in primo luogo le sue sperimentazioni si
pongono deliberatamente sotto l'egida della psicologia cognitiva
e gestaltica, che ne rappresenta in qualche modo il generale
sfondo teorico; inoltre il suo modello operativo fa largo
uso di innovazioni tecnologiche quali il laser, la luce artificiale
ed il neon, esaltandone le qualità sperimentali; infine
essa si richiama fortemente alla realtà dell'universo
visuale contemporaneo con la sua inarrestabile produzione
immaginale, ma tuttavia carente di elementi estetici qualificanti.
Proprio questa condizione di carenza estetica costituisce
del resto uno dei punti di forza della teoria dell'arte cinetica,
che tende ad esemplare nel rapporto percettivo con l'ambiente
dell'opera un modello di confronto valido anche per ogni rapporto
con la visualità tecnologica.
Con lo Spazialismo e più ancora con l'Arte Cinetica,
dunque, siamo di fronte ad un' attitudine nuova dell'arte
nei confronti del mondo della tecnologia, un attitudine che
potremmo definire "mediale": strumenti ed innovazioni
vengono utilizzare quali mezzi tecnico-esecutivi dell'opera,
diventandone tuttavia le condizioni necessarie di sussistenza,
giacchè la loro meccanicità coincide con la
loro stessa operatività. Di conseguenza tutta la grammatica
della creazione artistica viene ad essere profondamente modificata,
andando ad identificarsi con qualcosa che solo in parte può
essere definito a priori (e comunque solo nei suoi aspetti
ideativi-progettuali), ma di cui in più larga parte
si scoprono "in atto" qualità e prerogative
e quindi su un piano eminentemente sperimentale. E questo
è vero tanto per la pittura Optical, quanto le strutture
spaziali semoventi, tanto per le sperimentazioni cinetico-visuali
che ricorrono a media tecnologici, tanto per quella tipologia
di opere che richiedono la presenza fisica ed attiva dello
spettatore. Ciò tuttavia non deve far pensare che quella
Cinetica sia un'arte empirica, al contrario fra ciò
che la caratterizza maggiormente vi è proprio la presenza
di una metodologia progettuale che rimanda ad un impostazione
razionalista (a L.Moholy-Nagy e J.Albers, tanto per intenderci)
ed in cui confluiscono sia un forte riferimento ai dato percettivo
spogliato di ogni componente "culturale", sia un'ambizione
al rigore procedimentale che scaturisce dalle premesse scientifico-sperimentali
dell'estetica cinetica. Ciò è del resto massimamente
evidente proprio nell'Op Art (che sta appunto per Arte Ottica),
in cui spesso l'individuazione del metodo operativo e quindi
del nucleo visivo dell'opera assume un valore più decisivo
rispetto al suo portato estetico (Argan) (2).
Ma questo - vale la pena ricordarlo - è un dato critico
e non teorico, il che non lo fa rientrare in una del resto
improbabile teoria "optical" dell'arte, ma emerge
solo ad una valutazione a posteriori dell'opera in sé.
Resta tuttavia il fatto che l'Op Art risulta, proprio in questi
termini, un tipo di esperienza artistica ascrivibile a quelle
concezioni modernistiche che tendono a dissolvere l'attività
estetica entro altre forme culturali e quindi ad indicare
per l'arte ragioni che afferiscono manifestamente a saperi
extra-artistici ed in questa chiave ha da essere letta la
sostanziale riduzione fenomenologica ai puri dati percettivi
che l'interpretazione dell'opera Optical richiede (3).
È lecito chiedersi, a questo punto, quale sia il senso
propriamente artistico di questa sorta di psicologizzazione
dell'arte: se l'Optical si pone in effetti come un'arte senza
fondamento teoretico proprio, un'arte cioè che volentieri
si lasciare condurre per mano dalla psicologia gestaltica
(4), è pur vero, come ricordava Argan, che
essa fa della "forma" l'oggetto di un peculiare
processo compositivo e che questa sua capacità formativa
è sempre in movimento, non è mai definita per
sempre, andando a dipendere da variabili che stanno al di
là dell'opera in sé. L'opera cinetica si presenterebbe
insomma come una versione di quella "opera aperta"
teorizzata proprio in quegli stessi anni da U.Eco. Ma ciò
che fa rimanere la questione comunque in sospeso può
essere compendiato nella domanda: può la pura ricerca
di effetti percettivi definire una qualità artistica
? Il fatto che tanto l'Arte Cinetica tanto l'Op Art si siano
di fatto estinte come pratiche artistiche e che, per converso,
le ricerche cinetico-visuali abbiano trovato un loro consistente
sbocco della pubblicità e nel design dimostra se non
altro la labilità (o l'elasticità) di molti
assunti che stanno alla base di quelle esperienze artistiche.
Le quali tuttavia rimangono paradigmatiche di una certa confidente
attitudine ad impostare il rapporto fra arte e tecnologia,
sia per il privilegio accordato al momento programmativo-operativo
di chiara ascendenza costruttivista, sia per l'esplicita dipendenza
dell'opera da fattori puramente tecnici (che in apparente
neutralità paiono assecondare impieghi volutamente
creativi), sia infine per il fatto che nella generalità
dell' "arte animata" è dato riscontrare quel
lato umano e ludico della tecnologia che da tempo l'uomo ricerca
anche al fine di superare una concezione intellettualistica
e pessimistica della civiltà tecnologica attuale. Vi
è infatti una dimensione metaforica nel complesso delle
manifestazioni cinetiche ed optical, che agli occhi di oggi
sopravvive alle attardate questioni sul suo effettivo quoziente
estetico. Nell'idea di un progettare opere il cui funzionamento
dipenda dal grado di coinvolgimento e di interazione da parte
dell'osservatore non si deve forse riconoscere un’attitudine
confidente, serena, sobria - e quindi né apocalittica
né integrata - a concepire il rapporto col mondo tecnologico
?
NOTE
1 U.Eco, Arte Programmata, in La definizione
dell’arte, Garzanti, Milano, 1983.
2 G.C.Argan, La ricerca gestaltica
e Forma e formazione, in Il Messaggero, Roma, 24 agosto 1963
e 10 settembre 1963
3 F.Menna, Arte cinetica e visuale,
in L'Arte Moderna, Milano, Fabbri, vol.XIII, 1967
4 W.Kohler, La psicologia della
gestalt, Milano, Feltrinelli, 1961.
INTEGRAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Spazialismo
• F.Alinovi, La crisi dell'opera ed il progetto di superamento
dell'arte, in AA.VV., L'arte in Italia nel secondo dopoguerra,
Bologna, Il Mulino, 1979
• E.Crispolti-W.Schonenberg, Fontana e lo Spazialismo,
Lugano, 1987
• G.Giani, Spazialismo, Milano, 1957
Arte Cinetica, Programmata, Op Art
• R.Arnheim, Arte e percezione visiva, Milano, Feltrinelli,
1962
• C.Barrett, Op Art, London, 1970
• U.Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962
• G.Kepes, Il linguaggio della visione, Bari, Dedalo,
1971
• F.Popper, Arte Cinetica, Torino, Einaudi, 1970
• P.Serra Zanetti, Ricerche ottico-visive e arte cinetico-programmata,
in AA.VV. L'arte in Italia nel secondo dopoguerra, Il Mulino,
Bologna, 1979
pag. 1 - 2
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