Da quando Duchamp inaugura l’idea
di un’arte che parte dal cervello cortocircuitando
il senso comune e si libera dai condizionamenti del ‘fare
arte’ con finalità estetiche, si può
dire che tutto il restante ‘900 si svolga all’insegna
del concettualismo.
L’artista non fa, ma sceglie, gli basta applicare
agli oggetti, già esistenti e privi di ogni pretesa
estetica, un nuovo concetto indifferente ed incongruo rispetto
alla natura dell’oggetto stesso, decontestualizzato
ed attribuito di nuovo significato.
E’ in quel momento che la scrittura, intesa come forma
di un atto di interazione tra pensiero e cosa pensata, traccia
del passaggio dell’artista in grado di sopravvivergli
come testimonianza del suo operare, cessa di esistere nei
termini in cui è stata conosciuta fino ad allora.
Duchamp che sceglie di esporre uno scolabottiglie piuttosto
che una ruota di bicicletta o un orinatoio senza averli
realizzati personalmente si esprime attraverso una nuova
forma di scrittura (da ricercare non nell’oggetto,
ma nel contesto) anche se non ha eseguito materialmente
lo scolabottiglie, ma vi ha comunque identificato la propria
idea, quella ‘singolarità poetica’
in grado di esprimere proprio ciò che aveva in testa,
ingannando le limitate possibilità comunicative della
materia.
Da allora, il contesto è stato sempre più
invocato a far parte dell’opera, che progressivamente
ha perso il suo valore esclusivo allargandolo allo spazio circostante.
Il concettualismo porta all’estremo questa scelta
per un’arte che chiama in causa direttamente l’osservatore,
il quale non può più essere spettatore neutro
ed oggettivo di un prodotto che lo trascina all’interno
di un evento e lo coinvolge anche fisicamente.
Tipico esempio l’installazione, che per sua propria
natura, richiede lo spostamento dell’opera e la ri-situazione
nell’ambiente, che ne viene ‘segnato’:
l’installo temporaneo del 'segno' in un luogo non
deputato riqualifica l’ambiente e modifica il luogo
grazie ad uno slittamento semantico.
La creazione non più di un oggetto artistico, ma
di un più esteso campo percettivo ed emotivo in grado
di indurre un’esperienza estetica immersiva, dà
origine a linguaggi e scritture nuove nelle quali la persistenza
del segno è sostituita da una traccia temporanea
destinata a scomparire, con la possibilità di riattivarsi
ogni volta che si renda necessario.
Jean Baudrillard che afferma “la risoluzione del
senso si trova nella forma stessa, nella materialità
formale dell’espressione. […] Tutti hanno delle
idee, più di quante ne siano necessarie. Ciò
che conta è la singolarità poetica dell’analisi,
che sola può giustificare chi scrive e non la miserabile
oggettività critica delle idee. L’unica soluzione
possibile alla contraddizione delle idee sta nell’energia
e nella felicità della lingua.” ('La scomparsa
della realtà', 2009) non esclude il fatto che la 'singolarità
poetica' dell’analisi possa consistere nel mettere
in relazione i molteplici elementi di una realtà
spaziale complessa e diversificata, e sarà proprio
questa relazione a costituire una ‘scrittura’
non ‘segnica, ma ‘di segni’ correlati
secondo precipue modalità in grado di produrre una
nuova forma di ‘scrittura’.
E il Baudrillard fotografo, che predilige fotografare oggetti
inanimati affermando “Tutti sorridono di fronte
alla fotografia ma l'oggetto rifugge da questa logica e
non sorride. è per questo che io adoro gli oggetti
[……] per trovare la reale qualità dell'immagine,
secondo me, bisogna cercarla soltanto nell'oggetto. È
nell'oggetto che sono riuscito a trovare la singolarità,
nella scena dell'oggetto …. “ ed attribuisce
alla fotografia il potere di recuperare il rapporto con
la realtà oggettuale attraverso la sua rappresentazione,
in assenza di ogni trasfigurazione estetica, manifesta così
la sua aderenza al ready made duchampiano che trasferisce
l’essenza dell’oggetto artistico alla sua rappresentazione
anestetica in un simulacro di uso comune sul quale l'artista
non compie alcun intervento diretto.
Così come riconosce il senso e l’importanza
del ribaltamento operato da Duchamp, Baudrillard subisce
l’influenza di Marshall McLuhan, per il quale il solo
e semplice medium prescelto per attuare una comunicazione,
per il solo fatto di possedere una sua organizzazione strutturale,
non è mai neutro, ma in grado di produrre nel destinatario
determinate reazioni e comportamenti, indipendenti dal contenuto
dell’informazione veicolata: è così
che anche il mezzo diventa ‘scrittura’.
Consapevole di queste trasformazioni in atto e del fatto
che la fine della realtà è essa stessa la
realtà, Baudrillard, con una sorta di lucida rassegnazione,
non critica, ma osserva, analizza, commenta, rimpiange:“Tempi
felici quelli in cui il simulacro era ancora quel che era,
un gioco ai confini del reale e della sua sparizione…Oggi,
questa fase eroica è tramontata. Il Virtuale, la
Realtà Virtuale, inaugura il crepuscolo del segno
della rappresentazione.” ('Il Patto di lucidità
o l’intelligenza del Male', 2006).
Che non vuol dire sparizione della scrittura, ma la sua
reinvenzione.
L’arte non torna mai sui suoi passi, ma ci invita
ad avere occhi nuovi attraverso i quali rileggere ciò
che, da sempre ed in forme sempre diverse, ha da dirci.
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