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L'arte difficile
di Vilma Torselli
pubblicato il 24/01/2010

"Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell'avere nuovi occhi." (Marcel Proust)
Maurizio Cattelan
Installation view of 'All' at Kunsthaus Bregenz (2007)

Da quando Duchamp inaugura l’idea di un’arte che parte dal cervello cortocircuitando il senso comune e si libera dai condizionamenti del ‘fare arte’ con finalità estetiche, si può dire che tutto il restante ‘900 si svolga all’insegna del concettualismo.
L’artista non fa, ma sceglie, gli basta applicare agli oggetti, già esistenti e privi di ogni pretesa estetica, un nuovo concetto indifferente ed incongruo rispetto alla natura dell’oggetto stesso, decontestualizzato ed attribuito di nuovo significato.

E’ in quel momento che la scrittura, intesa come forma di un atto di interazione tra pensiero e cosa pensata, traccia del passaggio dell’artista in grado di sopravvivergli come testimonianza del suo operare, cessa di esistere nei termini in cui è stata conosciuta fino ad allora.

Duchamp che sceglie di esporre uno scolabottiglie piuttosto che una ruota di bicicletta o un orinatoio senza averli realizzati personalmente si esprime attraverso una nuova forma di scrittura (da ricercare non nell’oggetto, ma nel contesto) anche se non ha eseguito materialmente lo scolabottiglie, ma vi ha comunque identificato la propria idea, quella ‘singolarità poetica’ in grado di esprimere proprio ciò che aveva in testa, ingannando le limitate possibilità comunicative della materia.

Da allora, il contesto è stato sempre più invocato a far parte dell’opera, che progressivamente ha perso il suo valore esclusivo allargandolo allo spazio circostante.
Il concettualismo porta all’estremo questa scelta per un’arte che chiama in causa direttamente l’osservatore, il quale non può più essere spettatore neutro ed oggettivo di un prodotto che lo trascina all’interno di un evento e lo coinvolge anche fisicamente.
Tipico esempio l’installazione, che per sua propria natura, richiede lo spostamento dell’opera e la ri-situazione nell’ambiente, che ne viene ‘segnato’: l’installo temporaneo del 'segno' in un luogo non deputato riqualifica l’ambiente e modifica il luogo grazie ad uno slittamento semantico.
La creazione non più di un oggetto artistico, ma di un più esteso campo percettivo ed emotivo in grado di indurre un’esperienza estetica immersiva, dà origine a linguaggi e scritture nuove nelle quali la persistenza del segno è sostituita da una traccia temporanea destinata a scomparire, con la possibilità di riattivarsi ogni volta che si renda necessario.

Jean Baudrillard che afferma “la risoluzione del senso si trova nella forma stessa, nella materialità formale dell’espressione. […] Tutti hanno delle idee, più di quante ne siano necessarie. Ciò che conta è la singolarità poetica dell’analisi, che sola può giustificare chi scrive e non la miserabile oggettività critica delle idee. L’unica soluzione possibile alla contraddizione delle idee sta nell’energia e nella felicità della lingua.” ('La scomparsa della realtà', 2009) non esclude il fatto che la 'singolarità poetica' dell’analisi possa consistere nel mettere in relazione i molteplici elementi di una realtà spaziale complessa e diversificata, e sarà proprio questa relazione a costituire una ‘scrittura’ non ‘segnica, ma ‘di segni’ correlati secondo precipue modalità in grado di produrre una nuova forma di ‘scrittura’.

E il Baudrillard fotografo, che predilige fotografare oggetti inanimati affermando “Tutti sorridono di fronte alla fotografia ma l'oggetto rifugge da questa logica e non sorride. è per questo che io adoro gli oggetti [……] per trovare la reale qualità dell'immagine, secondo me, bisogna cercarla soltanto nell'oggetto. È nell'oggetto che sono riuscito a trovare la singolarità, nella scena dell'oggetto …. “ ed attribuisce alla fotografia il potere di recuperare il rapporto con la realtà oggettuale attraverso la sua rappresentazione, in assenza di ogni trasfigurazione estetica, manifesta così la sua aderenza al ready made duchampiano che trasferisce l’essenza dell’oggetto artistico alla sua rappresentazione anestetica in un simulacro di uso comune sul quale l'artista non compie alcun intervento diretto.

Così come riconosce il senso e l’importanza del ribaltamento operato da Duchamp, Baudrillard subisce l’influenza di Marshall McLuhan, per il quale il solo e semplice medium prescelto per attuare una comunicazione, per il solo fatto di possedere una sua organizzazione strutturale, non è mai neutro, ma in grado di produrre nel destinatario determinate reazioni e comportamenti, indipendenti dal contenuto dell’informazione veicolata: è così che anche il mezzo diventa ‘scrittura’.

Consapevole di queste trasformazioni in atto e del fatto che la fine della realtà è essa stessa la realtà, Baudrillard, con una sorta di lucida rassegnazione, non critica, ma osserva, analizza, commenta, rimpiange:“Tempi felici quelli in cui il simulacro era ancora quel che era, un gioco ai confini del reale e della sua sparizione…Oggi, questa fase eroica è tramontata. Il Virtuale, la Realtà Virtuale, inaugura il crepuscolo del segno della rappresentazione.” ('Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male', 2006).
Che non vuol dire sparizione della scrittura, ma la sua reinvenzione.

L’arte non torna mai sui suoi passi, ma ci invita ad avere occhi nuovi attraverso i quali rileggere ciò che, da sempre ed in forme sempre diverse, ha da dirci.

link:
L'arte facile

DE ARCHITECTURA
di Pietro Pagliardini


blog di Efrem Raimondi


blog di Nicola Perchiazzi
 







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"Reflection" (self portrait)

 

 
 

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