Ci sono libri che offrono risposte.
Altri che, per fortuna, fanno anche sorgere domande.
Opera sei potrebbe essere considerato un romanzo dedicato non solo a chi ama leggere una storia, ma anche a chi abbia desiderio di porsi qualche domanda.
Sull'arte, magari.
Posso dire, innanzitutto, che Opera sei parla di confini.
Per esempio, è ambientato in quell'Europa in cui i confini delle nazioni stavano per essere abbattuti, uno dopo l'altro, a partire da quel Berlinermauer assurto a archetipo moderno di limite. Ma esplora anche, sempre in nome di quella volontà propositiva che non si limiti a rispondere, i confini dell'arte, sempre che l'arte ne abbia: in questo caso si intendono verificare i confini dell’indecidibile, delle categorie bello-brutto, vero-falso, normale-anormale, arte o non-arte, ovvero quei territori in cui non si possono costruire muri di divisione, e all'interno dei quali si può solo tentare di descrivere caratteristiche, definire modalità, esplorare occorrenze, dentro ambiti essenziali al contempo labili e immensi, soggettivi e universali.
Non solo.
Opera sei è anche un romanzo che parla di ricerca.
L'aspetto narrativo più estrinseco racconta di un'indagine, richiamando una letteratura spionistica lontana dai cliché di genere, e spiega le vicende di Ester, una studentessa di Storia dell'Arte incappata in un sistema inquietante che potrebbe donarle la sua essenza più vera e insieme rappresentare la sua fine. Al suo inseguimento, nel tentativo di salvarla, partirà Ivan, un uomo in conflitto con il mondo e con se stesso, che rifugge gli standard iconografici della spia e abbraccia dimensioni umane e (riflessi di) sensi di colpa.
L'aspetto delle materie trattate, in aggiunta a tutto questo, offre molte altre declinazioni: la ricerca di se stessi, la commercializzazione dell’Arte, la morte dell’estetica e, come si diceva, la questione su ciò che è Arte e ciò che non lo è.
Ricerca.
Confini.
E oltre.
Il romanzo presenta, senza sommarietà ma in maniera snella – per evitare diluizioni e mantenere il necessario distacco descrittivo – ciò che nella quotidianità ciascuno di noi compie per andare al di là del Tollerabile e del Possibile, per annettere altri brani di verità e divorare nuove fette di mondo conosciuto, affinché possiamo permetterci – ancora! – lo stupore, e di fronte a esclamazioni come: “Non accadrà MAI!” essere subito contraddetti dalla realtà.
Per approfondire i contenuti artistici, accanto al racconto vengono proposte citazioni tratte da opere di critici d'arte contemporanei (Vergine, Altamira, Riout e altri) per aprire un ventaglio di opinioni, spalancare qualche sepolcro d'idee, per curiosare sullo stato in cui versa l'arte contemporanea nei confronti di quel pubblico il cui disamore allontana alcune pratiche e il cui capriccio avvicina altre, in una affannata ricerca di rassicurazioni, di funzioni artistiche che gli siano vicine e, viene da dire, comprensibili.
Per fare questo, si propone il quasi-improponibile: persone sono elevate, attraverso la body modification messa in atto da un chirurgo estetico, a opere d'arte, poi commercializzabili come un qualsiasi prodotto-progetto. I richiami e le ispirazioni sono trasparenti, la realizzazione verosimile, densa di quella inquietudine che determina – appunto – stupore e ci fa smettere di dire: Impossibile.
L'aggettivo "estetico", messo a caratterizzare il medico Hao Myung, non è un caso: in Opera sei l'atto creativo non viene compiuto sull'artista, come accade per Orlan o per altri rappresentanti dell'Arte Carnale o della Body Art in senso lato, ma dall'artista.
Questo assetto avvia un congegno in un certo senso originale: le opere possiedono sia un nome proprio (Daniel, Gerardo, Ester, inutile dire che saranno sei in tutto, alla fine) sia un "titolo" che le definisce – ovvero le ri-definisce – laddove ci sarà perfetta corrispondenza tra l'opera d'arte e la persona, ritrovatasi dopo l'evento chirurgico a avere le sembianze che più si avvicinano all'immagine estetica interiore che essa stessa ha di sé. Paradigmatico che l'annullamento dell'essenza umana apra alla nascita dell'essenza artistica: ciò che rimane, della persona così elaborata, è l'essenzialità, unico elemento intoccabile dell'esistenza.
Come si può immaginare, Opera sei è un romanzo che possiede molti piani di lettura, incontra momenti di riflessione e attimi di azione, attraverso un ventaglio di situazioni-limite, disturbanti per certi versi, ma che rispettano una attendibilità e, manco a dirlo, una aderenza sorprendente con espressioni artistiche anche di recente divulgazione, per cui esistono splendidi esempi di come sia possibile utilizzare il corpo come strumento o come fine di un’opera.
A fronte di quanto si sviluppa nel romanzo, nel mondo reale i limiti vengono auto-imposti, ovvero trovati, più che abbattuti: personalmente non ritengo che l’offesa, il disgusto o la depravazione, se utilizzati con il puro scopo di produrre scalpore, abbiamo giustificazioni artistiche o estetiche, sebbene l’arte contemporanea contempli artisti che mettono in atto (o hanno messo in atto) opere disturbanti almeno quanto quelle che io annovero.
Infine, necessita considerare quanto, come recita Ester in uno degli stralci di diario descritti in Opera sei, non avere limiti è di per sé niente più e niente meno che un limite.
David Riva |