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Una finestra nel buio
di Vilma Torselli
pubblicato il 4/05/2014
La finestra è il luogo dell’attesa, la cornice nella quale il desiderio attende l’epifania del suo oggetto......" (Francesca Rigotti)

Guardare una finestra illuminata nel buio è un'esperienza che quasi tutti noi abbiamo fatto cedendo al fascino magnetico di quel piccolo rettangolo luminoso galleggiante nella notte, attracco per sguardi vagabondi, curiosità innocenti, fantasie arbitrarie.
La finestra illuminata è uno dei topos ricorrenti nella narrativa e nella poesia, dove la finestra svolge un’importante funzione per l’immaginario grazie alla sua ambivalenza interpretativa: “la fenêtre unit la fermeture et l’ouverture, l’entrave et l’envol, la clôture dans la chambre et l’expansion au dehors, l’illimité dans le circonscrit” scrive Jean Rousset  (“Forme et signification”, 1962)
Su questa ambiguità funzionale, su un concetto di confine tra ciò che è interno e ciò che è esterno, confine che si muove continuamente con il mutare dell'orizzonte del mondo, scrive Francesca Rigotti: “La finestra è il luogo dell’attesa, la cornice nella quale il desiderio attende l’epifania del suo oggetto. E’ il riquadro dal quale si guarda fuori in attesa oppure al quale si guarda sperando di veder affacciarsi qualcuno [……] finestra che si apre e si chiude, finestra illuminata e poi spenta, finestra luogo dell’attesa e della contemplazione”. (“Il pensiero delle cose”, 2007.)

Anche pittori e fotografi si sono impossessati da tempo di questo tema dal profondo significato simbolico, dopotutto, guardare all'interno di una finestra è un po' come guardare un quadro nella sua cornice, una fotografia dentro i confini dell'obiettivo, in entrambi i casi il vetro, trasparente e invisibile, definisce e separa, crea la distanza psicologica sufficiente a rassicurare il voyeur che c'è in noi intento a spiare nel buio un mondo inaccessibile se non attraverso le costruzioni mentali di cui lo investiamo.
E mentre per tutto il giorno neppure guardiamo da quelle parti, la notte, quando la luce si accende e "brilla, sola nel mezzo alla città che dorme, una finestra, come una pupilla" scrive Giovanni Pascoli con felice metafora, quel punto luminoso diventa improvvisamente visibile, diventa un luogo definito, preciso e contornato che cattura l’attenzione caricandosi di significati possibili: che cosa sta accadendo dietro quei vetri? chi c'è là dentro? quale vita, quali persone, quali eventi ………. ?

Le finestre di Efrem Raimondi sono finestre di città, rettangoli di luce calda persi nella grande facciata di un indistinto anonimato, fotografate da lontano, scarse le tracce interpretative, la sagoma di un gatto forse in attesa di un ritorno, un ambiente deserto, una sedia lasciata vuota da qualcuno che se ne è appena andato, l'abbiamo mancato per poco…… finestre che lasciano molto all'immaginazione e facilmente suscitano illazioni (o illusioni) di spazi accessibili ai quali avvicinarsi senza timore per scoprire una rassicurante normalità o un vuoto tranquillo e silenzioso, sono finestre familiari, le stesse che guardiamo nelle notti di insonnia girando nel nostro quartiere, ci dicono che c’è qualcun’altro che non riesce a dormire, ci fanno sentire meno soli.

© Copyright Efrem Raimondi
© Copyright Efrem Raimondi
© Copyright Efrem Raimondi
© Copyright Efrem Raimondi

Le finestre di Edward Hopper sono finestre enigmatiche, violate dalla curiosità furtiva ed impietosa di un passeggero che spinge uno sguardo indifferente all’interno delle finestre illuminate di New York attraversandola con la sopraelevata.
Oltre i vetri  c’è quasi sempre qualcuno che tuttavia non si preoccupa di essere spiato, assorto nella sua solitudine come dentro una bolla inespugnabile. Gli interni sono composizioni ordinate e raggelate in metafisica sospensione dove non avviene alcuna interazione emozionale, protagonisti il vuoto e il silenzio.

Dentro/fuori, interno/esterno, luogo di confine indefinibile, che in realtà non è né l’uno né l’altro, dove la finestra occupa un ruolo chiave grazie al quale Hopper mette in vetrina per sconosciuti spettatori la vita di inconsapevoli attori in una messa in scena dal taglio spiccatamente cinematografico.
Finestre come un casellario entro il quale Alfred Hitchcock, ancora una volta ispirandosi ad Hopper, colloca le vite dei suoi personaggi (“La finestra sul cortile”, 1954) affidandone il racconto alla macchina fotografica ed allo sguardo del protagonista  che lo spettatore prende in prestito per profanare la loro intimità e la loro anima.

La sintesi migliore in questo gioco di rimandi tra una realtà vissuta ed una supposta, separate da una fragile lastra di vetro, la compie forse un poeta:

"[……] C’è solo una finestra chiusa
e tutto il mondo fuori;
e un sogno di ciò che potrebbe esser visto
se la finestra si aprisse,
che mai è quello che si vede
quando la finestra si apre.
"
(Ferdinando Pessoa, ‘Versi sciolti’ ,“Non basta aprire la finestra”)

link:
La casa sulla ferrovia
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