Le ultime conquiste tecnologiche sono destinate a produrre
vere e proprie modificazioni antropologiche che avranno come
risultato una specie di uomo del tutto diversa da quella con
la quale abbiamo a che fare oggi ed un'analisi dei mutamenti
da esse prodotti sulla percezione dell'immagine, del suono,
dello spazio, della comunicazione va compiuta in termini filosofici
di carattere generale, emancipati da ogni tentazione di conservatorismo
culturale. Nel campo dell'arte visiva, similmente a quanto
accaduto alla comparsa della tecnica fotografica, ora la confusione
è molta ed in attesa che si depositi il polverone,
non è chiaro se la strada da seguire sia una sintesi
tra tecniche diverse oppure un sovvertimento definitivo del
modo di fare arte, tanto che si delineano attualmente forme
di ibridazione con interessanti contenuti sperimentali che
portano l'impronta personale di ciascun artista. Si potrebbe
essere indotti a pensare che forse ogni maniera è buona
per rapportarsi con il digitale, purché ciò
avvenga..... Sentiamo il parere di Stefano Baratti,
artista digitale
Stefano Baratti: Forse
io, per esempio, che ho, per ciò che
riguarda la pittura, una formazione artistica classica con
origini tradizionali, procedo creando un disegno preparatorio
complessivo, successivamente digitalizzato con la scansione
per un'ulteriore elaborazione del colore tramite il protocollo
di un software (Adobe Photshop) unitamente ad una tavoletta
grafica interattiva (Wacom): a lavoro terminato, il disegno
diviene un documento di archiviazione ottica, su disco fisso
e copia su CD e/o Zip. Ciò che mi interessa è
soprattutto la rapidità d'esecuzione e la vastità
delle tonalità cromatiche consentite, all'interno di
una dinamica di lavoro e di qualità non facilmente
ottenibili utilizzando tecniche tradizionali, in una sintesi
che restituisce in tempi eccezionali progetti che utilizzando
metodi tradizionali forse non avrebbero nemmeno superato lo
stato embrionale. Certo, a chi rimanga affezionato al concetto
classico della "bottega dell'arte", un tale sistema
di lavoro assume proporzioni cliniche, asettiche (qui non
c'è nessun odore di trementina o acqua ragia, e tantomeno
esposizione a sostanze tossiche) quelle, tout court, di una
torre di controllo, dalla quale posso riproporre le stesse
tematiche senza imbrattarmi di vernice e polvere.
Artonweb: Mario Costa, professore di Estetica all'Università
di Salerno e di "Metodologia della critica" all'Università
di Napoli, dice che le nuove tecnologie "possiedono
un basso indice di utilizzabilità soggettiva: condizionano,
per così dire, molto di più l'artista. L'artista,
il ricercatore estetico, deve fare molto di più i conti
con questa asseità che sono le nuove tecnologie
.."
Sapere che ciò che ottieni è reso possibile
dall'uso di un programma o dall'opera di un tecnico programmatore
può creare un certo disagio, una sensazione di dipendenza
che in qualche modo blocca la libertà e la spontaneità
espressiva
..
Stefano Baratti: Paragonerei il computer alla camera oscura che nel diciasettesimo
secolo riuscì ad agevolare Canaletto, Bellotto e Vermeer
nell'esecuzione delle loro opere. L'artista resta sostanzialmente
del tutto diverso dal programmatore, il suo lavoro resta comunque
estetico, produce sensazioni attraverso immagini: credo che
anche oggi la pittura continui a rappresentare la pazzia e
la tragedia umana come momento catartico, eterno, attività
miracolistica o menzogna irrisoria, dimensione occulta o soltanto
prodotto di rifiuto di una lavanda gastrica, ma sempre intossicazione
dionisiaca di tutti i tempi. Lo schermo di un computer, come
la tela tradizionale, è un velo di Maya, che si pone
tra la "cosa", oggetto del tutto inafferrabile,
e la sua rappresentazione
.
Artonweb: Quindi l'artista, la funzione dell'artista, il suo ruolo non
sono affatto venuti meno, le nuove tecnologie hanno semplicemente
accentuato la componente concettuale del lavoro, anche se
un discorso sullo "stile" inteso come momento fondamentale
di ogni singola personalità artistica si fa estremamente
più complicato, se pensiamo che il contenuto dell'opera
digitale dipende dai contenuti filosofici e semiotici del
singolo artista e dai diversi mezzi digitali con cui lo elabora.
In generale mi pare sia nuovo l'atteggiamento degli artisti
nei confronti del concetto di esclusività della proprietà
dell'opera, che è cambiato: si va diffondendo l'idea
di un'arte senza confini e senza proprietari, alcune recenti
correnti, la E-Mail Art per esempio, nata dalla Mail Art,
uno dei movimenti più interessanti e più diffusi
degli ultimi quarant'anni, mandano per il mondo i lavori di
artisti liberi dal condizionamento dei canali tradizionali,
idealisticamente contrari all'odierna mercificazione dell'arte,
che donano le loro opere ai destinatari di messaggi che viaggiano
in internet. In fondo anche questo è uno dei modi in
cui le nuove tecnologie cambieranno il mondo
..
Stefano Baratti: Intanto Internet, ha ridimensionato le prospettive spazio-temporali
di un'epoca tradizionalmente legata a condizionamenti geografici,
dove l'arte veniva incentrata su coordinate longitudinali
preferenziali, tipo Parigi-Milano-New York. Credo si siano
finalmente abbattute certe idee preconcette. Oggi, nel giro
di un nanosecondo, un'artista della Costa d'Avorio è
libero di far circolare le sue opere in tutto il mondo, facilmente
reperibili su un'ampia gamma di gallerie digitali. La nostra
epoca digitale, a mio avviso, ha enormemente modificato -
e agevolato - il rapporto più democratico delle masse
con l'opera d'arte. Grazie al risvolto democratico del web,
oggi siamo in grado di proporre al pubblico un'alternativa
alla vecchia rassegna critica incartapecorita dei vari Benedetto
Croce del passato, e chiunque può liberamente esprimere
e pubblicare le proprie opere senza necessariamente ricorrere
ai consensi ufficiali degli "addetti ai lavori".
Non viviamo più un'era romantica, come la reazione
al positivismo del secolo scorso.
Artonweb: "Il "sistema dell'arte" sopravvive, più
forte che mai, per ragioni di pura prassi. Esso è soltanto
noioso e privo di interesse ma diventa insopportabile quando
si accinge, come sta avvenendo, a far svolgere ai nuovi media
il lavoro di quelli vecchi": sono sempre parole di Mario
Costa, che rileva come, l'immagine digitale che elimina completamente
il concetto di mimesi, di rappresentazione, che non ha bisogno
di rapportarsi ad alcunché per ricevere un senso dal
confronto con un altro da sé, sia una nuova entità,
un concetto del tutto inedito che oggi viene accolto solo
se travestito in modo da uniformarsi alla logica obsoleta
di strutture vecchie, di una critica impreparata, di un pubblico
disinformato, di artisti che pensano di fare arte digitale
con operazioni di ricalco rese possibili da sofisticatissimi
programmi di elaborazione dell'immagine, perché l'arte
tradizionale continua ad esistere come modello.Da sempre ogni
tecnologia innovativa viene assorbita dall'arte dapprima in
modo puramente strumentale, internet, poi, si presta particolarmente
per essere puro strumento di trasmissione, come hai detto
sopra, ma è anche il mezzo per attuare, per esempio,
il superamento del copyright rigidamente inteso (se si pensa
che il digitale permette una riproducibilità immediata
ed illimitata, a qualità costante, a costo zero) e
per realizzare, entro limiti variabili, quel processo di interattività
che resta una delle principali tematiche di tutta la più
recente arte contemporanea, mirante al coinvolgimento dello
spettatore nella genesi dell'opera (penso all'Happening, alla
Body Art, alle performances di tanti movimenti concettuali,
agli effetti optical della Op Art degli anni '60, all'Arte
Cinetica). Forse sarà necessario aspettare per sapere
se l'arte digitale è una irrealtà visibile,
una realtà invisibile, un solido nulla, oppure "un'elaborazione
dell'immagine in modo numerico, binario 0 o 1 - on/off, rappresentabile
in pixel(raster) e vettori, misurabili in Bit, attraverso
la mediazione di elaboratori e di monitor e display digitali"
,
forse bisognerà lasciar fare agli artisti, e poi cercare
un denominatore comune, un atteggiamento di base che ci permetta
di dire "ecco, questo è il digitale"
Stefano Baratti: Io stesso sono impegnato in un processo di eliminazione
e di sostituzione. Non ho ancora capito quale tra i tanti
percorsi e stili finora elaborati, sia quello più percorribile.
Mancano il cavalletto, la tavolozza, le paste di lapislazzulo
e il bianco di titanio. Mancano i campi di grano di Arles
e le notti stellate dei Paintres Maudits. Per l'artista digitale
l'unico contatto col mondo esterno è referenziale,
un risultato elaborato dai motori di ricerca. L'arte digitale
nasce entro parametri anfrattati, come gli studioli di Arduino
da Basio, segreti e seminascosti, che potevano essere utili
agli studia humanitatis del Duca di Montefeltro oppure alle
indecorose avventure proto-scientifiche di un Paracelso o
di qualche sventurato alchimista di Villa Palombara. Lavorare
digitalmente significa soprattutto far aderire i propri glutei
su una sedia, senza possibilità di movimento, ecco
forse perché il filone descrittivo-figurativo si esprime
oleograficamente, in frangenti diametralmente opposti a quelli
dei lontani "vedutisti" del diciottesimo secolo,
capitanati dal Van Wittel. L'arte digitale non si esprime
più come "opera solare". Le vedute digitali
sono rivissute internamente, non a contatto con la natura,
o in osmosi con la topografia di un luogo. Ci troviamo nella
penombra di modernissimi kunstcabinets, a bordo di diabolici
marchingegni, come poteva essere il "Pantometrum Kircherianum"
di Anastasio Kircher (chissà, forse l'archetipo di
Windows 2000), che riteneva di avvalersene per vedere Dio.
Ci troviamo anche di fronte ad un muro di incomunicabilità
con i critici e gli artisti convenzionali, quasi sempre detrattori
che vorrebbero relegare tutto il nostro lavoro in un ambito
estraneo all'arte e più affine alla omologante pattumiera
del videogioco. Ecco forse le ragioni del mio processo di
eliminazione e sostituzione, del mio eclettismo e, sotto certi
aspetti, della mia insicurezza di artista digitale. Ma non
si trovavano nella medesima situazione i Carracci e tutta
la scuola bolognese del primo seicento?
© Copyright Stefano Maria Baratti
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Stefano Maria Baratti
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