La mia tecnica attuale, non quella acquisita, rientra in
un'ottica che consiste nell'avvalersi di alcune discipline
convenzionali quali l'acquerello, l'acrilico (raramente la
pittura ad olio) gli inchiostri di china, le matite, i pennarelli
a base d'acqua, il carboncino, ecc., con i quali abbozzare
a mano libera su carta con superficie liscia, di solito a
grana fine (Fabriano F2) un disegno preparatorio complessivo
che viene conseguentemente digitalizzato con la scansione
per un'ulteriore elaborazione del colore tramite il protocollo
di un software (Adobe Photoshop) unitamente ad una tavoletta
grafica interattiva (Wacom).
Una volta terminato di lavorare, il disegno è trasformato
in documento di archiviazione ottica, su disco fisso e copia
su CD e/o Zip.
Va precisato che la rapidità d'esecuzione e la vasta
tonalità cromatica delle attrezzature digitali consentono
una dinamica di lavoro e di qualità non facilmente
riproducibili utilizzando tecniche tradizionali e danno la
possibilità di raggiungere risultati grafici molto
vari .
Per chi poi è costretto/a a fare i conti con il bilancio
delle spese, o con lo spazio di uno studio non facilmente
reperibile, la soluzione digitale mi sembra essere un enorme
vantaggio.
Le dimensioni del mio studio sono quelle di un angolo di una
sala da pranzo, o di una camera da letto.
La struttura è polifunzionale, e mi consente di trasformarlo
in un ufficio, una banca, una biblioteca, un carosello...
Certo, a chi rimanga affezionato al concetto classico della
"bottega dell'arte", lavorare entro questi parametri
assume delle proporzioni cliniche, asettiche (qui non c'è
nessun odore e tantomeno esposizione a sostanze tossiche)
quelle, tout court, di una di torre di controllo.
Malgrado la mia preparazione artistica si sia principalmente
svolta imitando due maestri perugini in cima ad una soffitta
(ricordo che non potevo sollevare la testa per non battere
il capo sul tetto) immerso negli strazianti vapori di trementina,
acqua ragia, e tavolozze sulle quali spremevo i miei tubetti
di colore ad olio, mi accorgo oggi di poter tornare in un
batter d'occhio a riproporre le stesse tematiche senza imbrattarmi
di vernice e polvere...
Le tecniche cambiano (mutatis mutandis) ma gli artisti,
come diceva Walter Benjamin, continuano ad affrontare il destino
dell'arte nella società di massa e collaudare i propri
incubi da un contesto magico-rituale.
Non credo che il computer abbia eliminato il "quid"
sacrale e tantomeno l'aura misteriosa dell'inavvicinibilità
dell'arte.
Benjamin, dopo aver scritto "L'opera d'arte nell'epoca
della sua riproducibilità tecnica", conservò
suo malgrado la speranza nel potenziale di "progresso"
insito nell'arte.
La nostra epoca digitale, a mio avviso, ha semplicemente modificato
- e agevolato - il rapporto più democratico delle masse
con l'opera d'arte. Che sia forse stato il computer ha dare
inizio all'abbattimento della burocrazia e delle ultime torri
d'avorio?
© Copyright Stefano Maria Baratti
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