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Le tecnologie digitali nell'arte moderna
di Vilma Torselli
pubblicato il 14/10/2007
"In questo periodo storico, nell'arte, è forse più importante la trasmissione extrasensoriale, mentale, perché viaggia al di sopra, e con più significati, della trasmissione sensoriale. Perché è un veicolo di conoscenza, di creatività, di opportunità" (Antonella Sbrilli (1), "Storia dell'arte in codice binario")

L'arte visiva attraversa oggi una profonda crisi di identità che mette alle corde un concetto già di per sé ambiguo, metamorfico, racchiudente una pluralità di significati non necessariamente concordanti.
E' una crisi che ha radici lontane, nel Concettualismo dei molti movimenti di impronta intellettualistica marcatamente elitaria che si diffondono a partire dagli anni '60, quando pare che lo sperimentalismo abbia sfondato ogni limite e l'Astrattismo, portato alle conseguenze estreme, si sia svuotato di ogni significato.
Si è andata da allora progressivamente definendo una frattura tra individui che parlano linguaggi incomprensibili l'uno all'altro, gli artisti ed il loro pubblico, con uno scollamento tra mondo dell'arte e realtà sociale che oggi, sotto molti aspetti, rende l'arte estranea all'uomo al quale non è più in grado di dare risposte, o "almeno non nella lingua che egli è disposto a capire" (1).
Eppure mai come oggi l'arte ha avuto libertà di esprimersi e mezzi per farsi conoscere, mai come oggi l'arte è stata tanto presente nelle nostre vite, almeno quantitativamente, e mai come oggi è stata inutile: probabilmente ha ragione Alessandro Tempi (2) quando dice che "L'arte è come la tecnologia: oltre un certo limite, essa si impadronisce dei bisogni che l'hanno fatta nascere e non li serve più, ma al contrario se ne serve per continuare ad esistere solo per se stessa." (All that art - Le soglie dell'arte).

Pur nella confusione linguistica che ci circonda, è facile capire che in realtà ciò che oggi va messo in discussione non è l'arte, ma il criterio di giudizio con il quale affrontarla, che necessita di una revisione radicale anche alla luce dei mutamenti introdotti dall'avvento delle tecnologie digitali, che hanno prodotto nuovi linguaggi artistici ed operato una rivoluzione dei mezzi espressivi di portata epocale.
L'elettronica è infatti in grado di produrre, attraverso la creazione e la manipolazione delle immagini digitali, una sorta di "pensiero visivo", così lo definisce Paolo Rosa (3), straordinariamente flessibile, capace di spaziare entro limiti incredibilmente vasti, amplificando a dismisura l'area dell'invenzione e della creatività, che è quella entro la quale nasce l'opera d'arte.

Le tecnologie digitali hanno infatti un tale potenziale innovativo da produrre un determinante mutamento di ciò che verrà prodotto, modificando non solo il mezzo, ma anche la sostanza dell'arte.
La differenza fondamentale fra strumenti tradizionali (il pennello, il carboncino o la matita), frutto di una tecnologia molto semplice ad impronta artigianale, e i nuovi mezzi digitali, è costituita sostanzialmente dal fatto che questi ultimi possiedono una loro "intelligenza", che si attiva attraverso l'applicazione di programmi di funzionamento anche molto complessi, con i quali l'utente, in questo caso l'artista digitale, si deve relazionare: non è necessario "conoscere" i segreti del programma, basta saperlo "usare".

Questo comportamento, la capacità di utilizzare la tecnologia e mettersi in relazione con lo strumento tecnologico, esprimono un nuovo modo di vedere il mondo, un nuovo modo di parametrarsi con la realtà, che è tipico della moderna società e non coinvolge solo l'arte visiva: come dice Paolo Rosa: " Credo che i nuovi mezzi a nostra disposizione costituiscano proprio un sistema di pensiero in grado di indicare gli attuali modi utilizzati dagli uomini per vedere il mondo: oggi vediamo in una nuova maniera. Probabilmente è proprio per tale motivo che risulta giusto ed utile coniugare l'esperienza artistica con le nuove tecnologie: l'arte e la poesia possono trarre numerosi orientamenti dal suddetto "sistema di pensiero".

Lo sperimentalismo che ha caratterizzato tutte le avanguardie del '900 pare quindi destinato ad esasperarsi oltre ogni limite dal momento che la tecnica computerizzata consente di attuare con estrema facilità contaminazioni culturali e formali tra linguaggi diversi, di produrre un'arte di frontiera, sempre al limite tra finzione e realtà, in un immenso spazio telematico in cui la mente sconfina facilmente tra passato e futuro ed attinge a sensazioni ed emozioni mai sperimentate prima.
Una delle caratteristiche principali delle nuove tecnologie digitali è la loro base visiva, poiché esse pongono al centro della comunicazione e della elaborazione l'immagine (come fanno il cinema o la televisione), e non il testo, così come l'arte visiva pone alla base della sua comunicazione il guardare ed quindi percepire ed elaborare l'immagine attraverso la vista.
In realtà la visione è una percezione del mondo che va ben oltre l'esperienza sensoriale, visto che la fisiologia e la neurologia moderne hanno dimostrato che, inteso come fenomeno fisiologico concernente la struttura anatomico-funzionale dell'occhio, l'atto della visione è molto più complesso di quanto non lo sia il funzionamento dello strumento deputato, risultato di un processo neuro-fisiologico che coinvolge in maniera massiccia estese strutture cerebrali (particolarmente significativi sul tema sono gli studi del neurobiologo Semir Zeki (4) e le sue teorie sulla neuroestetica).

La visione è quindi un processo attivo nel quale si producono costruzioni mentali collegate alle sensazioni visive anatomiche e costituisce una complessa forma di apprendimento nella quale è possibile mettere in atto uno dei metodi cognitivi a cui l'uomo ricorre più volentieri, perché innato e poco difficoltoso, il metodo senso-motorio, secondo il quale, sulla scorta delle informazioni visive, si interagisce con la realtà adattandola e modulandola, in un processo combinato con la percezione sensoriale al di fuori della presa di coscienza.
E' il metodo che ognuno di noi ha messo in atto nella prima infanzia, è quello che istintivamente tenteremo di usare tutte le volte che ci sarà possibile farlo.
Le nuove tecnologie, proprio in virtù della loro base visiva, non fanno altro che facilitare ed ampliare le possibilità di applicazione del metodo senso-motorio, estendendo la percezione visiva ad oggetti non fisici e neanche necessariamente esistenti, in tutti i campi della conoscenza e, a maggior ragione, in quel campo in cui la percezione e l'elaborazione visiva giocano un ruolo fondamentale ed imprescindibile, l'arte visiva.

Ciò determina, inevitabilmente, la crisi del concetto di arte al quale sino ad oggi abbiamo fatto riferimento, instaurando un rapporto dicotomico tra arte tradizionale ed arte digitale.
Ma è possibile un'arte digitale?
Nella misura in cui le nuove tecnologie ci spingono a mutare la nostra indagine nei confronti della realtà e a pensare il mondo e l'arte in un modo nuovo, prendendo coscienza dei mutamenti senza costruire a priori inesistenti conflittualità tra forme diverse di rappresentazione, sì, un'arte digitale è possibile, anche se può voler dire addentrarsi in un territorio sconosciuto del quale non possediamo la mappa.

In tal caso è facile il ricorso allo stereotipo, all'espediente retorico come rassicurante sostitutivo di una conoscenza ancora carente: questo spiegherebbe la tendenza non giustificata ad identificare la tecnica digitale con l'opera d'arte astratta, aniconica, facendo coincidere concetto e tecnica per un'arte che diventa contenuto ed espressione di se stessa, e spiegherebbe anche il preconcetto secondo il quale l'enorme potenziamento del potere comunicazionale dell'opera d'arte prodotta digitalmente dovrebbe necessariamente abbassarne il valore culturale.
La indispensabile maturazione linguistica dei nuovi mezzi digitali è la via per attenuarne quella componente eversiva che ha posto in discussione le certezze estetiche dell'arte senza sostituirle con criteri certi, e allora l'arte digitale potrà divenire il segno privilegiato di una contemporaneità che nulla ha di certo.
Non so se o quando le pareti delle case o delle gallerie ospiteranno, invece di quadri, monitor su cui i collezionisti alterneranno la propria raccolta di files, se e come si possa attribuire un valore commerciale ad un'opera di net-art, che altro non è che codice informatico, come può essere conservata, come se ne può fruire, che fine farà il concetto di esclusività per qualcosa che può essere facilmente copiato o rubato, il concetto di proprietà per qualcosa di astratto e dematerializzato, ma la modernità è tensione, curiosità, aspirazione in grado di trasformare un momento di cambiamento in un momento di crescita e di rinnovamento, è, per citare Bruno Zevi (5), una coscienza che "fa della crisi un valore". Prima o poi anche l'arte digitale avrà il suo?

[1] Antonella Sbrilli
http://w3.uniroma1.it/dsa/main/index.php/profilo-docenti-lettere-e-filosofia/539-antonella-sbrilli
[2] Alessandro Tempi
http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/alepat/Index.htm
[3] Paolo Rosa
http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=447
[4] Semir Zeki
http://it.wikipedia.org/wiki/Semir_Zeki
[5] Bruno Zevi
http://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Zevi

Sintesi dell'articolo "Arte visiva e tecnologie digitali", pubblicato in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.2 Luglio-Ottobre 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_2/21.htm


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