L'arte visiva attraversa oggi una profonda crisi di identità
che mette alle corde un concetto già di per sé
ambiguo, metamorfico, racchiudente una pluralità di
significati non necessariamente concordanti.
E' una crisi che ha radici lontane, nel Concettualismo dei
molti movimenti di impronta intellettualistica marcatamente
elitaria che si diffondono a partire dagli anni '60, quando
pare che lo sperimentalismo abbia sfondato ogni limite e l'Astrattismo,
portato alle conseguenze estreme, si sia svuotato di ogni
significato.
Si è andata da allora progressivamente definendo una
frattura tra individui che parlano linguaggi incomprensibili
l'uno all'altro, gli artisti ed il loro pubblico, con uno
scollamento tra mondo dell'arte e realtà sociale che
oggi, sotto molti aspetti, rende l'arte estranea all'uomo
al quale non è più in grado di dare risposte,
o "almeno non nella lingua che egli è disposto
a capire" (1).
Eppure mai come oggi l'arte ha avuto libertà di esprimersi
e mezzi per farsi conoscere, mai come oggi l'arte è
stata tanto presente nelle nostre vite, almeno quantitativamente,
e mai come oggi è stata inutile: probabilmente ha ragione
Alessandro Tempi (2) quando dice che "L'arte è
come la tecnologia: oltre un certo limite, essa si impadronisce
dei bisogni che l'hanno fatta nascere e non li serve più,
ma al contrario se ne serve per continuare ad esistere solo
per se stessa." (All that art - Le soglie dell'arte).
Pur nella confusione linguistica che ci circonda, è
facile capire che in realtà ciò che oggi va
messo in discussione non è l'arte, ma il criterio di
giudizio con il quale affrontarla, che necessita di una revisione
radicale anche alla luce dei mutamenti introdotti dall'avvento
delle tecnologie digitali, che hanno prodotto nuovi linguaggi
artistici ed operato una rivoluzione dei mezzi espressivi
di portata epocale.
L'elettronica è infatti in grado di produrre, attraverso
la creazione e la manipolazione delle immagini digitali, una
sorta di "pensiero visivo", così lo definisce
Paolo Rosa (3), straordinariamente flessibile, capace di spaziare
entro limiti incredibilmente vasti, amplificando a dismisura
l'area dell'invenzione e della creatività, che è
quella entro la quale nasce l'opera d'arte.
Le tecnologie digitali hanno infatti un tale potenziale innovativo
da produrre un determinante mutamento di ciò che verrà
prodotto, modificando non solo il mezzo, ma anche la sostanza
dell'arte.
La differenza fondamentale fra strumenti tradizionali (il
pennello, il carboncino o la matita), frutto di una tecnologia
molto semplice ad impronta artigianale, e i nuovi mezzi digitali,
è costituita sostanzialmente dal fatto che questi ultimi
possiedono una loro "intelligenza", che si attiva
attraverso l'applicazione di programmi di funzionamento anche
molto complessi, con i quali l'utente, in questo caso l'artista
digitale, si deve relazionare: non è necessario "conoscere"
i segreti del programma, basta saperlo "usare".
Questo comportamento, la capacità di utilizzare la
tecnologia e mettersi in relazione con lo strumento tecnologico,
esprimono un nuovo modo di vedere il mondo, un nuovo modo
di parametrarsi con la realtà, che è tipico
della moderna società e non coinvolge solo l'arte visiva:
come dice Paolo Rosa: " Credo che i nuovi mezzi a
nostra disposizione costituiscano proprio un sistema di pensiero
in grado di indicare gli attuali modi utilizzati dagli uomini
per vedere il mondo: oggi vediamo in una nuova maniera. Probabilmente
è proprio per tale motivo che risulta giusto ed utile
coniugare l'esperienza artistica con le nuove tecnologie:
l'arte e la poesia possono trarre numerosi orientamenti dal
suddetto "sistema di pensiero".
Lo sperimentalismo che ha caratterizzato tutte le avanguardie
del '900 pare quindi destinato ad esasperarsi oltre ogni limite
dal momento che la tecnica computerizzata consente di attuare
con estrema facilità contaminazioni culturali e formali
tra linguaggi diversi, di produrre un'arte di frontiera, sempre
al limite tra finzione e realtà, in un immenso spazio
telematico in cui la mente sconfina facilmente tra passato
e futuro ed attinge a sensazioni ed emozioni mai sperimentate
prima.
Una delle caratteristiche principali delle nuove tecnologie
digitali è la loro base visiva, poiché esse
pongono al centro della comunicazione e della elaborazione
l'immagine (come fanno il cinema o la televisione), e non
il testo, così come l'arte visiva pone alla base della
sua comunicazione il guardare ed quindi percepire ed elaborare
l'immagine attraverso la vista.
In realtà la visione è una percezione del mondo
che va ben oltre l'esperienza sensoriale, visto che la fisiologia
e la neurologia moderne hanno dimostrato che, inteso come
fenomeno fisiologico concernente la struttura anatomico-funzionale
dell'occhio, l'atto della visione è molto più
complesso di quanto non lo sia il funzionamento dello strumento
deputato, risultato di un processo neuro-fisiologico che coinvolge
in maniera massiccia estese strutture cerebrali (particolarmente significativi sul tema sono gli studi del neurobiologo Semir Zeki (4) e le sue teorie sulla neuroestetica).
La visione è quindi un processo attivo nel quale si
producono costruzioni mentali collegate alle sensazioni visive
anatomiche e costituisce una complessa forma di apprendimento
nella quale è possibile mettere in atto uno dei metodi
cognitivi a cui l'uomo ricorre più volentieri, perché
innato e poco difficoltoso, il metodo senso-motorio, secondo
il quale, sulla scorta delle informazioni visive, si interagisce
con la realtà adattandola e modulandola, in un processo
combinato con la percezione sensoriale al di fuori della presa
di coscienza.
E' il metodo che ognuno di noi ha messo in atto nella prima infanzia, è quello che istintivamente tenteremo di usare tutte le volte che ci sarà possibile farlo.
Le nuove tecnologie, proprio in virtù della loro base
visiva, non fanno altro che facilitare ed ampliare le possibilità
di applicazione del metodo senso-motorio, estendendo la percezione
visiva ad oggetti non fisici e neanche necessariamente esistenti,
in tutti i campi della conoscenza e, a maggior ragione, in
quel campo in cui la percezione e l'elaborazione visiva giocano
un ruolo fondamentale ed imprescindibile, l'arte visiva.
Ciò determina, inevitabilmente, la crisi del concetto
di arte al quale sino ad oggi abbiamo fatto riferimento, instaurando
un rapporto dicotomico tra arte tradizionale ed arte digitale.
Ma è possibile un'arte digitale?
Nella misura in cui le nuove tecnologie ci spingono a mutare
la nostra indagine nei confronti della realtà e a pensare
il mondo e l'arte in un modo nuovo, prendendo coscienza dei
mutamenti senza costruire a priori inesistenti conflittualità
tra forme diverse di rappresentazione, sì, un'arte
digitale è possibile, anche se può voler dire
addentrarsi in un territorio sconosciuto del quale non possediamo
la mappa.
In tal caso è facile il ricorso allo stereotipo, all'espediente
retorico come rassicurante sostitutivo di una conoscenza ancora
carente: questo spiegherebbe la tendenza non giustificata
ad identificare la tecnica digitale con l'opera d'arte astratta,
aniconica, facendo coincidere concetto e tecnica per un'arte
che diventa contenuto ed espressione di se stessa, e spiegherebbe
anche il preconcetto secondo il quale l'enorme potenziamento
del potere comunicazionale dell'opera d'arte prodotta digitalmente
dovrebbe necessariamente abbassarne il valore culturale.
La indispensabile maturazione linguistica dei nuovi mezzi
digitali è la via per attenuarne quella componente
eversiva che ha posto in discussione le certezze estetiche
dell'arte senza sostituirle con criteri certi, e allora l'arte
digitale potrà divenire il segno privilegiato di una
contemporaneità che nulla ha di certo.
Non so se o quando le pareti delle case o delle gallerie ospiteranno,
invece di quadri, monitor su cui i collezionisti alterneranno
la propria raccolta di files, se e come si possa attribuire
un valore commerciale ad un'opera di net-art, che altro non
è che codice informatico, come può essere conservata,
come se ne può fruire, che fine farà il concetto
di esclusività per qualcosa che può essere facilmente copiato
o rubato, il concetto di proprietà per qualcosa
di astratto e dematerializzato, ma la modernità è
tensione, curiosità, aspirazione in grado di trasformare
un momento di cambiamento in un momento di crescita e di rinnovamento,
è, per citare Bruno Zevi (5), una coscienza che "fa
della crisi un valore". Prima o poi anche l'arte
digitale avrà il suo?
[1] Antonella Sbrilli
http://w3.uniroma1.it/dsa/main/index.php/profilo-docenti-lettere-e-filosofia/539-antonella-sbrilli
[2] Alessandro Tempi
http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/alepat/Index.htm
[3] Paolo Rosa
http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=447
[4] Semir Zeki
http://it.wikipedia.org/wiki/Semir_Zeki
[5] Bruno Zevi
http://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Zevi
Sintesi dell'articolo "Arte visiva e tecnologie digitali",
pubblicato in "XÁOS. Giornale di confine",
Anno II, N.2 Luglio-Ottobre 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_2/21.htm
|