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Musei virtuali per arte virtuale
di Vilma Torselli
pubblicato il 15/03/2010
Gallerie e musei virtuali per muoversi in uno spazio tridimensionale come in uno spazio reale.

L'attuale diffusione e la crescente popolarità della digital art, o net art, o new media art, comunque la si voglia chiamare hanno indotto i più grandi e famosi musei del mondo, come il Walker Art Center, il  New Museum, il Whitney Museum ed il Guggenheim Museum  ad allestire gallerie virtuali, spazi espositivi e sezioni dedicate all'arte digitale, tanto che sarà quanto prima in rete il primo vero museo virtuale del mondo, accessibile solo dal web, progettato su committenza del Solomon Guggenheim di New York, "primo importante edificio virtuale del ventunesimo secolo", che permetterà ai suoi visitatori l'esperienza di muoversi in uno spazio tridimensionale come in uno spazio reale, secondo una progressione spaziale solitamente percepibile nella realtà.

La morfologia architettonica di questo particolare museo virtuale a base interattiva, ispirata fondamentalmente al Guggenheim di New York progettato da Frank Lloyd Wright, è concepita come una forma in continua trasformazione a seconda dei movimenti del visitatote, che potrà anche influenzarla agendo su di una particolare barra di navigazione, percorrendo le sale e le gallerie dove le opere esposte, elettroniche, multimediali, video, vengono fruite come in un museo reale, perfetta integrazione tra contenitore e contenuto divenuti inseparabili, tra due linguaggi che sono sempre stati distinti ed a volte conflittuali.

Vengono così infranti i canoni di ogni architettura precedente attraverso la tecnologia che elimina la staticità della struttura ed offre un'accessibilità totale ed integrale senza limiti né di tempo né di spazio, per un'arte che si avvicina così ai suoi originari propositi, quelli che la individuano fondamentalmente come pura esperienza, al di là di materialità, concretezza, commerciabilità.

Non si può non ricordare la nozione di "museo immaginario" introdotta da André Malraux, che, accanto all'idea dell'unità ed universalità dell'arte, esprime coerentemente la sua appartenenza ad una storia, in cui l'apparizione di ogni singola opera introduce delle modifiche al tutto ed in cui le trasformazioni che si realizzano nel tempo sono essenziali alle opere stesse proprio in virtù di un principio di reciprocità totale.
Lo spazio auosufficiente del museo di Malraux e del museo virtuale esclude la relazione dell'opera d'arte con il mondo reale, cosicché l'arte, non parametrabile a nulla se non a sé stessa, acquisisce un valore assoluto nel momento in cui, negando ogni contatto con il reale, afferma la propria completa autonomia e nella separazione dalla vita, nell'appartenenza al museo, ritrova la sua essenza.
Liberato dai legami con la realtà e con la storia, il museo virtuale si slega anche dalla storia dell'arte, negando la vita attinge all'immortalità, attraverso la morte delle cose finite assicura all'arte l'eternità del suo significato più profondo, parallelo dell'altro museo personale di cui parla Jorge Luis Borges che scrive: "siamo il nostro ricordo, un museo immaginario di mutevoli forme ".

Ministro della cultura di De Gaulle, André Malraux, alla fine degli anni ’40, inizi anni ’50, con il suo concetto di un "museo globale senza muri" fu il primo a comprendere le caratteristiche e l’importanza della riproduzione e che le riproduzioni delle opere d'arte contenute nei libri sotto forma di tavole a colori rendevano immediatamente fruibile e alla portata di tutti l'intera cultura mondiale, al di là di definizioni spaziali e temporali: la fotografia in bianco e nero o a colori, per molti minacciosa antagonista della pittura, diventava così preziosa alleata per qualsiasi azione di divulgazione o analisi comparata dell'opera d'arte, mezzo per costruire, per ogni studioso o appassionato, un museo personale e virtuale ante litteram.
La riproducibilità diventa quindi mezzo per un approccio diretto, facile, immediato, modulabile sull'osservatore, specialmente oggi, dato che la riproducibilità non è mai stata così facile.

Le problematiche legate al concetto di arte virtuale sono numerose e del tutto inesplorate, e davanti ad esse noi ci poniamo le stesse domande che, quasi cento anni fa, si poneva Walter Benjamin, allora alle prese con nuovi mezzi di espressione quali la fotografia ed il cinema; in un suo saggio del 1936, Walter Benjamin, ragionando sul concetto di unicità dell'opera d'arte, caratterizzata da una sua irripetibile 'aura', localizzata in una dimensione fisica concreta e definita, parla di riproducibilità tecnica del lavoro artistico riconoscendo alla riproduzione la possibilità di rappresentare la genesi dell'opera e di rendere accessibile democraticamente a tutti la visione del prodotto artistico.

Oggi riproducibilità non vuol dire solo e semplicemente riproduzione fotografica, mezzo eccellente per rappresentare l'originale con caratteristiche di grande fedeltà, ma vuol dire, ed è questa la più straordinaria innovazione tecnologica,  introdurre nel processo riproduttivo, attuato con mezzi digitali, una manipolabilità che consente poi vari livelli di intervento e di interazione con l'utente.

Ciò induce a pensare che col tempo si verranno a definire nuove strategie di fruizione dell'opera d'arte, nuove filosofie e nuove estetiche, che guidino ad una lettura dell'immagine diversa da quella tradizionale alla quale siamo abituati, delegando alla cultura artistica il compito di instaurare nuove relazioni tra uomo e computer, tra gli esseri umani e i loro contesti, l'ambiente, la società, la tecnologia, la scienza, la vita.

link:
Sembra facile dire Museo...
Il "Museo obbligatorio"
La nuova identità antropocentrica dello spazio museale
Il MOMA di New York


DE ARCHITECTURA
di Pietro Pagliardini


blog di Efrem Raimondi


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