L'attuale diffusione e la crescente popolarità
della digital art, o net art, o new media
art, comunque la si voglia chiamare hanno indotto i
più grandi e famosi musei del mondo, come il Walker
Art Center, il New Museum, il Whitney Museum ed
il Guggenheim Museum ad allestire gallerie
virtuali, spazi espositivi e sezioni dedicate all'arte
digitale, tanto che sarà quanto prima in rete il primo
vero museo virtuale del mondo, accessibile solo dal web, progettato
su committenza del Solomon Guggenheim di New York, "primo
importante edificio virtuale del ventunesimo secolo",
che permetterà ai suoi visitatori l'esperienza di muoversi
in uno spazio tridimensionale come in uno spazio reale, secondo
una progressione spaziale solitamente percepibile nella realtà.
La morfologia architettonica di questo particolare museo virtuale
a base interattiva, ispirata fondamentalmente al Guggenheim
di New York progettato da Frank Lloyd Wright, è concepita
come una forma in continua trasformazione a seconda dei movimenti
del visitatote, che potrà anche influenzarla agendo
su di una particolare barra di navigazione, percorrendo le
sale e le gallerie dove le opere esposte, elettroniche, multimediali,
video, vengono fruite come in un museo reale, perfetta integrazione
tra contenitore e contenuto divenuti inseparabili, tra due
linguaggi che sono sempre stati distinti ed a volte conflittuali.
Vengono così infranti i canoni di ogni architettura
precedente attraverso la tecnologia che elimina la staticità
della struttura ed offre un'accessibilità totale ed
integrale senza limiti né di tempo né di spazio,
per un'arte che si avvicina così ai suoi originari
propositi, quelli che la individuano fondamentalmente come
pura esperienza, al di là di materialità, concretezza,
commerciabilità.
Non si può non ricordare la nozione di "museo
immaginario" introdotta da André Malraux, che,
accanto all'idea dell'unità ed universalità
dell'arte, esprime coerentemente la sua appartenenza ad una
storia, in cui l'apparizione di ogni singola opera introduce
delle modifiche al tutto ed in cui le trasformazioni che si
realizzano nel tempo sono essenziali alle opere stesse proprio
in virtù di un principio di reciprocità totale.
Lo spazio auosufficiente del museo di Malraux e del museo
virtuale esclude la relazione dell'opera d'arte con il mondo
reale, cosicché l'arte, non parametrabile a nulla
se non a sé stessa, acquisisce un valore assoluto nel
momento in cui, negando ogni contatto con il reale, afferma
la propria completa autonomia e nella separazione dalla vita,
nell'appartenenza al museo, ritrova la sua essenza.
Liberato dai legami con la realtà e con la storia,
il museo virtuale si slega anche dalla storia dell'arte, negando
la vita attinge all'immortalità, attraverso la morte
delle cose finite assicura all'arte l'eternità del
suo significato più profondo, parallelo dell'altro
museo personale di cui parla Jorge Luis Borges che scrive:
"siamo il nostro ricordo, un museo immaginario di
mutevoli forme ".
Ministro della cultura di De Gaulle, André Malraux,
alla fine degli anni ’40, inizi anni ’50, con
il suo concetto di un "museo globale senza muri"
fu il primo a comprendere le caratteristiche e l’importanza
della riproduzione e che le riproduzioni delle opere d'arte
contenute nei libri sotto forma di tavole a colori rendevano
immediatamente fruibile e alla portata di tutti l'intera cultura
mondiale, al di là di definizioni spaziali e temporali: la fotografia in bianco e nero o a colori, per molti minacciosa
antagonista della pittura, diventava così preziosa
alleata per qualsiasi azione di divulgazione o analisi comparata
dell'opera d'arte, mezzo per costruire, per ogni studioso
o appassionato, un museo personale e virtuale ante litteram.
La riproducibilità diventa quindi mezzo per un approccio
diretto, facile, immediato, modulabile sull'osservatore, specialmente
oggi, dato che la riproducibilità non è mai
stata così facile.
Le problematiche legate al concetto di arte virtuale sono
numerose e del tutto inesplorate, e davanti ad esse noi ci
poniamo le stesse domande che, quasi cento anni fa, si poneva
Walter Benjamin, allora alle prese con nuovi mezzi di espressione
quali la fotografia ed il cinema; in un suo saggio del 1936,
Walter Benjamin, ragionando sul concetto di unicità
dell'opera d'arte, caratterizzata da una sua irripetibile
'aura', localizzata in una dimensione fisica concreta e definita,
parla di riproducibilità tecnica del lavoro artistico
riconoscendo alla riproduzione la possibilità di rappresentare
la genesi dell'opera e di rendere accessibile democraticamente
a tutti la visione del prodotto artistico.
Oggi riproducibilità non vuol dire solo e semplicemente
riproduzione fotografica, mezzo eccellente per rappresentare
l'originale con caratteristiche di grande fedeltà,
ma vuol dire, ed è questa la più straordinaria
innovazione tecnologica, introdurre nel processo riproduttivo,
attuato con mezzi digitali, una manipolabilità che
consente poi vari livelli di intervento e di interazione con
l'utente.
Ciò induce a pensare che col tempo si verranno a definire
nuove strategie di fruizione dell'opera d'arte, nuove filosofie
e nuove estetiche, che guidino ad una lettura dell'immagine
diversa da quella tradizionale alla quale siamo abituati,
delegando alla cultura artistica il compito di instaurare
nuove relazioni tra uomo e computer, tra gli esseri umani
e i loro contesti, l'ambiente, la società, la tecnologia,
la scienza, la vita.
link:
Sembra facile dire Museo...
Il "Museo
obbligatorio"
La nuova identità antropocentrica dello spazio museale
Il MOMA di New York
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