La sigla GRAV (Groupe de Recherche d'Art Visuel)
si riferisce ad un gruppo di sei artisti, Horacio García
Rossi, Francisco Sobrino, François Morellet, Julio Le
Parc, Joël Stein e Jean-Pierre Vasarely (o Yvaral) attivi
a Parigi dal 1960 a 1968, firmatari di un manifesto che sintetizza
il concetto della funzione sociale dell'arte, concepita come
un'attività non più di pertinenza del solo artista
solitario ed individualista, figura fino ad allora sovrastimata,
ma prodotto collettivo e corale, risultato della fusione di
diverse identità: la collettività dell'azione
e della genesi del prodotto finale, che ne risulta fortemente
influenzato, sono parte fondamentale e determinante della teoria,
poiché il risultato di un'azione collettiva è
qualcosa di più della somma delle singole azioni in quella
che con felice espressione Carlo Giulio Argan definisce arte
gestaltica.
Nella continua verifica del rapporto tra esperienza ed idea,
GRAV propone un'arte ludica in grado di coinvolgere lo spettatore
interattivamente, promuovere la sua partecipazione all'evento
artistico e trasformarlo in attore, tema che resterà
fondamentale nella poetica di GRAV, per un totale capovolgimento
dei ruoli che prevede la svalorizzazione dell'artista e dell'opera
d'arte a vantaggio della sollecitazione dello spettatore,
per un nuovo rapporto tra il pubblico e l'arte, divenuta una
realtà essenzialmente visuale di forme semplici e geometriche,
schemi cretivi essenziali, prospettive spaziali considerate
dal singolo punto di vista del fruitore, cioé di colui
che osserva.
In sintonia con ciò che la scienza e la tecnologia
stanno scoprendo, attraverso effetti cinetici ed ottici che
utilizzano la luce artificiale ed opportuni materiali (plastica,
metallo ed altri prodotti industriali), gli artisti del GRAV
inducono nell'opera l'effetto del movimento o di quella che
Attilio Marcolli chiama "illusività ottico-spaziale
della luce e del movimento", elaborando collettivamente
procedimenti sperimentali che si appoggiano alle moderne conoscenze
scientifiche sulla percezione visiva.
Nel rapporto triangolare tra artista, opera d'arte e spettatore,
l'opera non è che una "proposition plastique",
imput per una ricerca aperta della quale gli sviluppi sono
tutti da inventare, imprevedibili e non intenzionali.
Tuttavia, pur nella ricerca di criteri oggettivi comuni e
di un programma generale di gruppo per la definizione di una
teoria alla quale ancorare la propria posizione, i vari membri
del GRAV non abbandonano un loro individuale percorso di ricerca,
Sobrino sull'uso del plexiglas, Yvaral sul filo di naylon
e vinile, Le Parc sulla la luce, Stein sugli effetti di polarizzazione,
Morellet sul funzionamento programmato dell'accensione dei
tubi al neon, realizzando nel contempo opere collettive, strutture
all'aperto, installazioni ed i famosi labirinti, nei quali
l'opera viene percorsa dallo spettatore.
Sarà proprio il contrasto tra l'esigenza di ricerca
collettiva e l'aspirazione all'affermazione individuale, la
volontà di contestazione del sistema dell'arte e le
lusinghe commerciali di un mercato in crescita a determinare
lo scioglimento del gruppo ed anche un arresto della via "cinetica"
all'arte, che verrà per reazione sostituita da movimenti
ad impronta oggettuale o concretista, come l'Arte Povera di
Germano Celant, alla ricerca di una base oggettiva dei procedimenti
creativi al di fuori dell'eventuale ruolo del fruitore.
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