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Body Art
di Alessandro Tempi
pubblicato il 9/04/2007 |
Body Art come scrittura del
corpo, nel quale coincidono parola e cosa, testimonianza e cosa
testimoniata e, per un momento, essere e coscienza.
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Il pensiero che pensa il martirio è un
pensiero che pensa in maniera differente la morte. Su questa
differenza Karl Rahner ha scritto pagine bellissime che impegnano
fede e riflessione in una circolarità inesauribile, ricche
di quella passione che proprio lassillo terreno della
morte tende a vanificare od a mettere da parte.
Rahner osserva che siamo comunemente portati a trascurare la
vera essenza della morte poiché la concepiamo
come separazione fra anima e corpo. Così facendo, però,
continuiamo nellequivoco di vederla come conseguenza (di
quella separazione), ma non nella sua essenza, vale a dire il
suo toccare lintegralità delluomo, lunità
insolubile di azione e passione e quindi, in ultima analisi,
la sua stessa libertà. La morte riguarda infatti lestremo
soggiacere delluomo a qualcosa di cui egli non dispone,
ma che dispone inevitabilmente ed oscuramente delluomo
stesso. Tutta la sua vita non è che un inarrestabile,
irreversibile avvicinarsi verso questo avvenimento ; in questo
senso, la morte è un atto, perché ne viviamo linesorabilità
ogni giorno della nostra vita. La nostra è - senza mezzi
termini - unesistenza morente e ciò richiede, da
parte nostra, di atteggiarci in modo nuovo e diverso davanti
alla morte. Questo modo è, per Rahner, la libertà.
Dallassillo della morte innanzitutto, conquistabile solo
accettando serenamente la nostra esistenza morente, dicendo
sì al nostro destino di morte:
Egli (luomo) dovrebbe avere dunque una libertà,
liberamente amata, per la morte. Dovrebbe accettare liberamente
la morte, esistere in una libera libertà per la morte.
Se luomo pensa la morte soltanto con lottusa volontà
di vivere della bestia, si sottrae ad essa, si lega direttamente
solo alla vitale paura dellesistenza di fronte al dolore
; se non ha il coraggio di rinunciare in un rassegnato esercizio
dellultima rinuncia, egli non è proprio ancora
luomo quale deve essere. Egli si atteggia a reprimere
ciò che tuttavia lo distingue proprio dalla bestia :
la trascendenza, che, non solo pensata, ma compiuta in questa
mortale creatura che chiamiamo uomo, è vera soltanto
nella forma della cognizione, liberamente ammessa, del proprio
essere votati alla morte. Dove cè libertà
libera, cè amore alla morte, cè coraggio
per la morte. (Karl Rahner, Exkurs uber das Martyrum,
in Zur Theologie des Todes, Herder, Basel, 1961, trad. it. Morcelliana, Brescia, 1972).
Uneco heideggeriana dellessere per la morte risuona
non a caso in Rahner. Per entrambi infatti la morte si pone
come limite rispetto al quale occorre decidersi, staccandosi
da un piano che è semplicemente dispersivo per riscoprire
il senso più autentico dellesistenza, che è
dunque anticipazione della morte. E il sapere di dover
morire che, per entrambi, pone listanza fondamentale del
prender posizione davanti ad essa, qualificando così
lesistenza umana come tale ed in quanto tale.
Da teologo e uomo di fede, Rahner va ovviamente più in
là e si chiede : esiste una morte nella quale appaia
anche ciò che in essa accade ?. La risposta è
sì e questa morte è il martirio, nel quale egli
scopre lindissolubile unità dellaccettazione
e della fede come unità fra testimonianza e cosa testimoniata
e quindi fra parola e cosa, ove il segno comporta infallibilmente
la realtà designata, ove lofferta estrema
ed assoluta di sé appare esattamente e realmente per
ciò che è : atto integrale della fede che vince
il mondo e quindi compimento ultimo delluomo.
Un pensiero che pensa il martirio è anche un pensiero
che pensa lautenticità dellesperienza. Il
martire è, in ultima analisi, colui che crede a ciò
che è la somma finale della sua esistenza. E colui
che per realizzare la propria essenza deve rivelarla in modo
definitivo ed irrevocabile facendola apparire. Nel martirio,
osserva Rahner, tutto ciò che appare è e tutto
e solo ciò che ha da essere appare. Verità assoluta
ed apparenza assoluta vi coincidono inesorabilmente.
Non sfuggirà che questo è anche il problema dellarte.
Qui naturalmente è in gioco una valenza diversa del termine
assoluto, che si colloca nellambito di particolari modalità
della conoscenza che sanno prescindere dalla mera aderenza alle
forme cogenti di una decifrazione puramente logico-dialettica
e che tuttavia ci parlano della verità. Quali sono queste
modalità? Sono la fede religiosa per un verso e lermeneutica
filosofica dallaltro (in specie nella lezione gadameriana),
che pur appartenendo ad orizzonti differenti sembrano coincidere
nella comune rinuncia al Metodo, ovvero nel trascendimento della
conoscenza metodica (quella degli enunciati e delle dimostrazioni)
a tutto favore di una conoscenza intesa come ascolto, come esperienza,
come evento di ciò che pur prescindendo e/o trascendendo
le forme del Metodo si manifesta tuttavia come Essere.
E chiaro che le analogie terminano qui : ciò che
per la fede è abbandono alla trascendenza non coincide
con il trascendimento del Metodo nellermeneutica (che
di fatto va ad inscriversi nellorizzonte della finitudine
umana). E tuttavia significativo che in entrambe ricorra
il problema della verità intesa non in forma astratta,
ma nel senso della possibilità che luomo ha di
farne concretamente esperienza ; il che equivale ad uscirne
trasformato, modificato, rinnovato nel proprio modo di stare
al mondo. Ciò che in entrambe ricorre, insomma, è
unistanza di autenticità che si realizza in una
disposizione confidente e meditante allascolto, che è
al tempo stesso offerta e domanda. Il martirio, rileva Rahner,
è appunto la perfetta, sublime coincidenza di offerta
(umana) e domanda (divina). Nellimmanenza dellorizzonte
della finitudine umana, lArte ripete questa coincidenza
con i mezzi suoi propri, che poi sono quelli del discorso umano,
che non ha regole o criteri salvo il proprio continuo sviluppo
e confronto, ovvero del proprio esistere nel mondo.
Un pensiero che pensa il martirio è dunque anche un pensiero
che pensa la verità non ripartita secondo lantinomia
natura-cultura, ma come apertura costitutiva delluomo
sullEssere e come capacità di trascenderlo. E
dunque proprio del martirio il porre la questione della verità
sulla via damascena del mistero (e quindi dellevento e
dellascolto), in cui la verità si rivela come fede
nel momento stesso in cui essa scompare agli occhi di un raziocinio
dal limite mortale.
In Arte, in questo discorso umano sullesistere, il mistero
ci viene incontro nellunico modo in cui luomo sa
di esistere - nel modo in cui lesistenza ritrova
se stessa - e questo modo è la ricerca. Portata
fino alle estreme conseguenze, questa ricerca è arrivata,
non più tardi di una ventina danni fa, ad essere
testimoniata dal corpo stesso dellartista. Esperienze
come quella della Body Art - e segnatamente quella di artisti
come Chris Burden, Gina Pane e Marina Abramovic - in effetti
ci fanno spesso pensare a forme laiche ed immanenti di martirio
o quantomeno ad una concezione vittimaria dellarte, in
cui il potere creativo sia accompagnato da o sfoci in conseguenze
sacrificali, invertendo in tal modo il senso dellantico
mito sofocleo di Filottete (che invece allude ad un legame causale
fra sofferenza fisica e forza superiore). Forse, tuttavia, lesperienza
della Body Art è meno antropologizzabile di quanto si
pensi proprio perché superando la dimensione simbolico-rituale
(e quindi estetica) della concezione vittimaria, si pone come
scrittura del corpo anziché sul corpo, facendo coincidere
in esso - come in un martirio - parola e cosa, testimonianza
e cosa testimoniata. Rimane ancora aperta - è vero -
la questione di quale dovesse essere la cosa testimoniata. Di
fatto, però, la Body Art ha contribuito ad indebolire
la concezione sacrale-rituale dellarte (sviluppatasi poi
nel suo impianto di sistema) tornando a far coincidere per un
momento essere e coscienza entro i confini circoscritti della
finitudine umana. |
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