Non ci sono ragioni razionali in base alle quali
si possa spiegare perché luomo, tra tutti gli esseri
che popolano la terra, abbia deciso di dedicarsi ad unattività
apparentemente non utile né necessaria come la creazione
artistica e la sua fruizione, semplicemente ed inspiegabilmente
egli lo fa da millenni, da che ha abitato la prima caverna e
ne ha invaso le pareti rocciose con i primi graffiti.
Latto del decorare le pareti della sua tana pare per luomo
un impulso ineludibile, in grado di potenziare quel basilare
atto di appropriazione di un luogo che egli compie "abitandolo".
Ci dice la grammatica che il latino habitare è
un verbo frequentativo (o intensivo) di habere (avere). Esso
significa, innanzitutto, avere continuamente o ripetutamente.
Abitare rimanda quindi allavere con continuità.
Labitante, allora, ha il luogo in cui abita
"
(Sebastiano Ghisu, Essere, abitare, costruire, vedere, 2005),
e lo ha tanto più quanto più lo personalizza,
lo rende unico e rispondente allidea che ha di sé,
attraverso l'arte, appunto.
Ma a distanza di millenni dal nostro antenato cavernicolo, perché
si fa arte, oggi?
La domanda non è da poco, ed oggi interessa sia larte
che la scienza, specie negli studi di molti moderni biologi,
fra cui Semir Zeki, autore di un testo ormai cruciale nella
moderna neurobiologia, La visione dallinterno,
in cui egli analizza i rapporti fra arte e scienza, tra visione
e cervello, e definisce una nuova disciplina che chiama Neuroestetica.
Seguendo la sua indagine, pare che si sia abbastanza vicini
a capire, in estrema sintesi, come l'arte, sia per chi la
produce che per chi ne fruisce, coinvolga una serie di operazioni
che si svolgono nel cervello dell'uomo e come sia l' esperienza
estetica che qualunque esperienza cognitiva siano soggette
a leggi che regolano alcune attività cerebrali e coinvolgono
alcune strutture nervose nello stesso modo in tutti gli uomini.
I quali sono animali visivi, animali spaziali e per i quali, secondo il
modello di approccio psico-cognitivo elaborato da Zeki, larte
può rappresentare una sorta di linguaggio universale con codici visivi leggibili da tutti indistintamente, al di
là delle differenze e delle diversità etnico-socio-culturali.
Larte sarebbe insomma uno dei tanti canali percettivi-cognitivi
attraverso i quali luomo analizza il mondo che lo circonda
e recepisce e scambia su di esso preziose informazioni.
Il concetto di arte, ed il significato di fare arte, mutano
nel tempo a seconda dello sviluppo della cultura di un'epoca,
della storia, della filosofia, delletica ecc., e se
fino alla metà dell 800 era facile concepire
larte come rappresentazione oggettiva della realtà,
come mimesi del mondo (anche se tutte le opere del passato
hanno connotazioni fortemente soggettive a seconda dei vari
autori che le hanno prodotte), con lavvento della fotografia larte ha abdicato al suo ruolo documentaristico, che
la fotografa assolve meglio, con più precisione, più
in fretta, a minor costo, attraversando una profonda e drammatica
crisi didentità.
Con l'avvento dell'Espressionismo tedesco cade il concetto
di rappresentazione come riproduzione, larte visiva
diventa mezzo per una profonda analisi della psiche umana,
la rivolta antimimetica delle avanguardie del '900 inventa
per larte, attraverso un lungo processo di travaglio
e rinascita, un nuovo compito, quello di rappresentare non
più la realtà concreta, ma quella invisibile,
linteriorità dellanimo umano, il subconscio,
quello che la macchina fotografica non può materialmente
cogliere.
E il ruolo che larte ha ancora oggi, perseguendolo
ed esprimendolo nei vari modi della modernità, linformale,
lastratto, il concettuale ecc
..
Ad una prima analisi, pare quindi che se larte esprime
lanimo umano, allora ha senso che esista, in ogni tempo,
con la funzione di potente canale di comunicazione dellincomunicabile,
di catalizzatore per reazioni emotive che altrimenti resterebbero
inespresse.
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