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Il Realismo di Edward Hopper
di Vilma Torselli
pubblicato il 26/03/2007
Arte nord-americana pre-espressionista, affrancata dalla tradizione europea ed autenticamente nazionale, nei luoghi della solitudine della pittura di Edward Hopper.
L'Espressionismo astratto e l'assemblage di Johns e Rauschenberg, antesignani della Pop Art, sono indubbiamente i primi grandi movimenti culturali che, a livello mondiale, affermarono la cultura visiva americana connotandola con caratteri ben precisi e peculiari, tuttavia, ben prima dell'affermarsi di questi movimenti, vi furono sul suolo americano manifestazioni artistiche che, pur non riuscendo ad offuscare il primato dell'Europa ed in particolare di Parigi in campo artistico, sono rimaste nella storia dell'arte come fermi riferimenti per tutte le seguenti generazioni di americani.
E', più specificatamente, un'arte nord-americana, con fulcro a New York, che comincia ad affermarsi verso il 1905, quando i galleristi che allestiscono mostre di artisti europei cominciano ad esporre artisti del loro paese, dando loro opportunità prima impensabili e favorendo il consolidarsi di una coscienza nazionale anche in campo artistico: nel 1908, un gruppo di artisti nord-americani fonda la "Scuola degli otto", con lo scopo di elaborare e promuovere uno stile nazionale antitradizionalista, slegato dalla tradizione europea ed autenticamente americano, anche se gli artisti americani non si affrancheranno mai dal fascino della cultura del vecchio continente.

Nasce un movimento artistico che verrà definito "Realismo americano", per le sue precise caratteristiche stilistiche e la tendenza ad un figurativismo spinto, in termini molto realistici, appunto, sia per la figura che per il paesaggio.
Uno degli esponenti più interessanti di questo movimento è un allievo di Robert Henri, Edward Hopper, che ritrae tipici paesaggi rurali americani e che, in seguito, sposta la sua sede da Filadelfia a New York, dove l'osservazione della vita urbana gli sarà di ispirazione per celebri quadri di interni metropolitani e di scene quotidiane viste con l'occhio analitico del fotografo.

Intanto la prima guerra mondiale facilita l'esportazione delle idee europee anche oltre atlantico, complici le leggi razziali imposte dal nazismo che spingono molti artisti di origine ebraica a trasferirsi in quel nuovo continente aperto alle innovazioni e agli apporti culturali più disparati. Lì le nuove idee rapidamente si diffondono e vengono recepite dall'ambiente culturale americano, anche se i più nè le comprendono pienamente nè le condividono: Duchamp, Picabia, Gleizes espongono a New York con folgoranti successi, il Cubismo e il Dadaismo vengono accolti, studiati, imitati, e da lì, negli anni a seguire, avranno origine l'Espressionismo astratto e la Pop Art (negli anni '15-'20 si afferma addirittura uno stile detto "cubismo realistico").
La crisi del '29 mette a dura prova la sicurezza economica ma anche psicologica degli americani, la loro autostima e la credibilità nel loro sistema sociale, tanto che un ritorno a valori tradizionali e genuini sembra l'unico modo per riacquistare fiducia in se stessi e nel proprio mondo: ed ecco riapparire la raffigurazione di paesaggi rurali, di interni domestici, di scorci dell'America più umile e più vera, modello di affidabilità e stabilità, mentre si riflette criticamente sulla realtà urbana, desolato scenario di un'umanità solitaria seppure tra la folla.

Lo sviluppo seguente dell'arte americana prenderà altre strade, soprattutto perchè, durante la seconda guerra mondiale, molti artisti europei si sposteranno in America, specie quelli appartenenti al Surrealismo, che influenzeranno in maniera determinante l'arte americana tanto da sostituire qualunque eredità autoctona: proprio da loro nascerà il movimento astratto americano, in tutte le sue varie declinazioni.
In realtà tutti gli espressionisti subiscono il fascino della tradizione culturale del vecchio continente, magari in un distorto rapporto di odio-amore, e tutti affondano più o meno consapevoli radici in quel movimento europeo che la fuga dalla seconda guerra mondiale e dalle misure antisemite spinge oltre oceano: in seguito, il governo americano utilizzerà l'arte astratta come arma essenziale per la guerra fredda intraprendendo una serie di iniziative mirate alla promozione mondiale dell'arte e del modello sociale statunitense...... continua

Edward Hopper(1882-1967) nasce in una famiglia di commercianti della piccola borghesia, mostra fin da bambino una buona attitudine al disegno, inizia i suoi studi d'arte alla New York School of Art, in seguito passa alcuni anni in Europa, dove a Parigi conosce Cezanne, i Fauves, il Cubismo.

Tornato in America (1925), dedicatosi dapprima all'attività di grafico e decoratore, diviene poi una delle personalità più interessanti della "Scuola degli Otto", fondata nel 1908, nonchè il padre del Realismo americano del Novecento ed uno degli artisti più importanti dell'arte moderna d'oltre oceano.
Tipico esponente di questa corrente del primo trentennio del secolo, particolarmente interessato all'osservazione della società urbana in un difficile periodo del suo sviluppo, egli cerca di esprimere gli aspetti oggettivi della realtà grazie all'uso di moduli realistici che ripercorrono una quotidianità quasi inorganica, in composizioni dal solido impianto volumetrico entro una raggelata ambientazione vagamente metafisica dove prevale il senso di solitudine e di estraneità.
La sua pittura, ispirata sempre alla scena americana, è al tempo stesso quotidiana e metafisica, simbolo di due culture lontane e diverse, quella americana e quella europea, che l'artista conosce ed ama in egual misura.
Straordinario creatore di atmosfere sospese, Edward Hopper si colloca nel filone definito "Precisionismo", per l'attenzione ai particolari, per la meticolosità rappresentativa di sconfinati paesaggi nordamericani, distese immense di solitudini squallide che suscitano l'idea della solitudine spoglia e banale degli oggetti e di quella esistenziale degli esseri umani, la solitudine come stato della mente, che tutto omologa e riduce a "cosa".
Influenzato dagli studi psicanalitici di Freud e dalle teorie intuizioniste di Bergson, Hopper insegue una comprensione soggettiva dell'uomo e delle sue problematiche, che restano comunque inespresse e congelate in figure anonime che non comunicano, in una vita stagnante e desolata, in ambienti enormi dominati da un silenzio irreale.
Viene in mente la pittura metafisica di un De Chirico, della quale, però, manca la struttura intellettualistica e il substrato culturale, la tensione verso l'indagine del mistero oltre le apparenze: Hopper pone i suoi personaggi al centro di una vicenda senza esito, in una realtà cristallizzata, nel contesto irreale di un non-luogo nel quale l'incomunicabilità è espressa dagli spazi vuoti fra le figure, dal ridotto cromatismo che esplode a tratti qua e là, dalla luce ad effetto spot concentrata sui singoli personaggi, interpreti solitari relegati ciascuno nella propria parte da un copione già scritto.

La sensibilità spiccatamente fotografica di quei dipinti ha ispirato molto cinema di quegli anni: a che cosa sta pensando il solitario personaggio di ‘Nighthawks’ (1942), al bancone del Phillies bar? Il suo volto nascosto non è quello di Humphrey Bogart con la sua immancabile sigaretta? E chi abita l’inquietante ‘House by the railroad’ (1925), forse il Tony Perkins di 'Psycho'? E la casa abitata dal Sean Connery di ‘The Untouchables’ (1987), le finestre illuminate nella notte, le tende sventolanti, non sembra proprio la sua ‘Night Windows’?
Le citazioni che il cinema dedica ad Hopper sono numerosissime, un omaggio che egli ricambia non senza una nota di benevola ironia nel suo ‘New York Movie’ (1939)
E viene in mente anche certa produzione dell'attuale iperrealismo, quello di Duane Hanson, ad esempio, o di George Segal, dove i manichini più veri del vero inducono al contrario un senso di paradossale irrealtà, con la loro aria malinconica ed assente che li rende protagonisti alienati di una realtà provvisoria.

Il mondo di Hopper si caratterizza attraverso l'assenza, attraverso atmosfere vuote e silenziose, ambienti deserti e rarefatti, paesaggi malinconici e solitari, trasmettendo così un’acuta sensazione di solitudine esistenziale ontologica e di invalicabile incomunicabilità.

*articolo aggiornato il 7/06/2014

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