La Performance è una forma d'arte di non
facile definizione (si può forse chiamare "arte
che si esplicita mediante lazione"), che cercheremo
di conoscere meglio grazie all'aiuto di un esperto, Alessandro
Tempi, come è già avvenuto in altre occasioni
per alcuni argomenti di lettura particolarmente difficile.
Scrive Alessandro Tempi:
"Come dice Robert Atkins nella sua bibbia dell'arte
contemporanea, "ArtSpeak, a Guide to Contemporary Ideas,
Movements and Buzzwords", Abbeville Press Publ. New
York, 1990 ) il termine Performance Art è quanto mai
"open-ended" e designa tutta una serie di operazioni
artistiche prodotte attraverso l'utilizzo di elementi relativi
alla danza, al cinema, al teatro, al video, alla poesia ed
effettuate davanti ad un pubblico.
Il termine compare negli anni Settanta, ma con tale significato
può applicarsi retrospettivamente anche ad eventi e/o
operazioni precedenti (fine anni Sessanta) come quelle che
fanno capo al gruppo Fluxus, gli Happenings, le "azioni"
(tipo quelle del Wiener Aktionismus per l'appunto) e quindi
anche della Body Art (che propriamente implica l'automanipolazione
del proprio corpo da parte dell'artista (vedi Chris Burden,
Gina Pane, Marina Abramovic, Vito Acconci etc.).
Nella Body Art il medium artistico è dunque il corpo
(Gina Pane si tagliuzzava il corpo con una lametta, Chrtis
Burden si sparava, Vito Acconci si masturbava etc.).
I precedenti storici della Body sono i gesti dada (il taglio
di capelli di Duchamp, le "azioni" di Yves Klein e Piero
Manzoni negli anni Sessanta, ad esempio) e può essere
letta anche come reazione viscerale di alcuni artisti alla
freddezza, all'indifferenza ed alla cerebralità del
Minimalismo.
Del resto, anche per la Performance si può parlare
di un'ascendenza dada attraverso non Duchamp, ma John Cage,
che diffuse il termine "performance" nel secondo
dopoguerra.
Ma anche il dripping painting di Pollock può essere
letto, in un certo senso, come performance, anche se, a rigore,
vi manca l'elemento del pubblico e del contesto "live".
Nei tardi anni Settanta, tuttavia, una seconda generazione
di Performance Artists ha rigettato il rigore e la severità
della prima Performance Art (che era frutto delle poetiche
anti-società di massa sviluppatesi nell'alveo dell'Arte
Concettuale) per offrire operazioni più "cross-over"
(in italiano, approssimativamente, più trasversali,
che mischiano elementi di culture e approcci diversi).
E' il caso dell'attore e performer Andy Kaufman (la cui breve
vita è ricostruita nel film "Man on the Moon"
di Milos Forman), dell'autore ed attore Eric Bogosian (vedi
"Talk Radio" di Olver Stone), del regista ed autore
teatrale Robert Wilson - perfino Whoopi Goldberg si dice abbia
cominciato come performance artist - ma soprattutto della
cantante Laurie Anderson.
Che cosa accomuna questi ultimi? Semplicemente il fatto di
aver portato la Performace Art fuori dalle gallerie e dai
luoghi deputati dell'arte ed averla inscenata in altri luoghi
- clubs, teatri, televisione, locali alternativi o di tendenza.
In questo senso, però, il primo grande performance
artist di seconda generazione ed anello di congiunzione con
la Body Art è sicuramente il cantante Jim Morrison
dei Doors."
Come si evince da quanto scritto da Alessandro Tempi, performance vuol dire interdisciplinarità,
coinvolgimento dello spettatore, vuol dire una forma d'arte
che non mira a produrre oggetti artistici, ma sensazioni,
inquietudini, impressioni, emozioni dal vivo grazie all'azione
del performer, figura che Patrice Pavis, professore di teatro all'Università
di Parigi, definisce "un autobiografo scenico che possiede
un rapporto diretto con gli oggetti e con la situazione enunciativa,
un attore che recita sè stesso, che parla e agisce
a titolo personale, in rapporto diretto col pubblico.
Si vede anche che la performance origina da lontano, che è
già presente, come ci spiega Alessandro Tempi, nelle
trovate provocatorie di Duchamp, nelle "azioni" di Yves
Klein, Piero Manzoni, Jackson Pollock, accomunati, seppure
in luoghi, tempi e modi diversi, in una ricerca sperimentale multidisciplinare che pone l'accento sull'immediatezza della
relazione artista-pubblico per creare un evento artistico
che, non prevedibile nelle sue specifiche modalità
esecutive, non è riproducibile, non è una delle
tante versioni o interpretazioni di un'opera, ma resta unico
ed irripetibile.
Per usufruirne bisogna "esserci", farne parte, contribuire
a crearlo.
Jeff Nuttall, critico e scrittore, dice che "larte
performativa, a ben vedere, non vuol dire nulla", mancando
un assunto teorico, essa si può descrivere ma non definire,
ma forse è giusta una "non definizione" per
un'arte che punta sulla relazione pragmatica con la vita e
la realtà e che quindi, come loro, è imprevedibile
e sempre diversa, indefinibile, appunto.
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