"Un paio di calzini non sono meno adatti
a fare un dipinto, di legno, chiodi, trementina, olio e stoffa".
(Robert Rauschenberg)
Dal Dadaismo in poi, attraverso le sue derivazioni pop e
nouveauréaliste e le provocazioni di Duchamp e Andy
Warhol, attraverso l'Arte Oggettuale di Piero Manzoni, le
composizioni Merz di Kurt Schwitters, fino a tante manifestazioni
artistiche contemporanee, si è fatto sempre più
difficile distinguere tra ciò che, tra le comuni presenze
della quotidianità, può divenire opera d'arte
e ciò che invece resta indiscutibilmente ed irrimediabilmente
scarto degradato, errore marginale, spazzatura senza alcuna
possibilità di riscatto.
E' un dubbio che coinvolge il concetto stesso di arte, al
quale la cultura trash cerca di dare, a modo suo, una risposta.
In realtà lutilizzo in chiave artistica non del
contenuto delle pattumiere, ma degli scarti industriali non
è nuovo, come ci insegna per esempio la Minimal Art,
ed appare quasi un passaggio obbligato nella storia dellarte
moderna: il trash interessa infatti trasversalmente molti
movimenti artistici, dei quali tuttavia non coglie l'aspetto
concettuale, identificandosi, a torto o a ragione, con l'aspetto
più popolare e disimpegnato della cultura moderna e
proponendo il concetto che ovunque, anche negli ambiti più
squallidi ed ignobili, nei rifiuti, negli scarti si può
trovare una forma di bello estetico in grado di contrapporsi
alle definizioni culturali ufficiali e di imporsi grazie ad
una forza espressiva derivata dall'impatto emotivo che hanno
sul normale osservatore l'aberrazione e la distorsione, la
bruttezza e l'orrore.
Nella moderna società, dice Giulio Ferroni, docente
di Letteratura Italiana all'Università La Sapienza
di Roma, "In assenza di valori forti, non rimane che
mettere in mostra la volgarità del quotidiano: in questa
frase può essere riassunto il "trash" come
fenomeno culturale", allargando poi il concetto di trash,
in senso più letterale, da fenomeno culturale a spia
di comportamenti sociali censurabili collegati al problema
dell'inquinamento e della sovraproduzione di beni di un consumo
ormai giunto alla saturazione, produttore non più di
progresso ma di trash.
In quest'ottica il trash, toccando uno dei nervi scoperti
della modernità, si pone come linguaggio di denuncia di un sistema evolutivo che va cambiato, rifondando il rapporto
dell'uomo moderno con gli oggetti che produce, non più
in funzione della loro necessità, ma per essere usati
per essere gettati per essere sostituiti.
E
mentre si
adegua utilizzando i rifiuti della modernità, il trash vuole anche metterci in guardia verso i rischi che la accompagnano
in modo irriverente, spiazzante ed ironico.
A differenza del kitsch, che ha pur sempre come riferimento
l'oggetto artistico, seppure simulato, copiato e snaturato
in una imitazione di scadente qualità e cattivo gusto,
a differenza delle sperimentazioni dadaiste e surrealiste,
nelle quali l'oggetto comune subisce una sorta di trasformazione
alchemica attraverso la decontestualizzazione, attraverso
la scelta e l'esibizione decise dall'artista che così
lo sacralizza, il trash rinuncia ad ogni intervento di tipo
critico ed esibisce l'oggetto, spesso in chiave comica o quantomeno
con esiti comici, con atteggiamento nichilista, rifuggendo
da ciò che sia impegnativo, complicato, intellettualistico
ed adattandosi ad una società in condizione sub-culturale
che gli dà consenso perchè anestetizzata nel
giudizio da un eccesso di informazioni e sensazioni, abituata
ormai a tutto.
La cultura trash è ovviamente priva di regole, vive
sull'improvvisazione del momento, pescando nel cestino dei
rifiuti e traendone a sorpresa le manifestazioni più
disparate, spesso con risultati sorprendenti, come si può
rilevare da una visita al Centro di Cultura Contemporanea
di Barcellona che ospita una mostra diretta dallo scrittore
e giornalista Jordi Costa dal titolo: "La cultura trash. La speleologia del gusto", da cui si può forse
dedurre, un po' semplicisticamente, che alcuni vedono rifiuti
dove altri vedono arte.
Vale la pena di interrogarsi su questa differenza? La trash-art,
nata dagli scarti della società industriale e dai rifiuti
della civiltà tecnologica, resterà nella storia
dell'arte o solo in quella del costume?
Una visione ottimistica del problema la fornisce Luciano Dottarelli
quando dice che "c'è molto da fare sul problema
dei rifiuti" ma anche che "c'è molto che
si può fare con i rifiuti " ("La positività
del negativo", status del rifiuto nel pensiero di alcuni
filosofi d'occidente).
Forse. |