Da
una lettera di Van Gogh al fratello Theo: "Vorrei fare il ritratto di un amico artista...........
Questuomo sarà biondo. Vorrei mettere nel quadro
la mia stima, lamore che ho per lui. Anzitutto lo dipingerò
tale e quale con la maggiore fedeltà possibile. Ma il
quadro non sarà finito cosí. Per finirlo divento
adesso un colorista arbitrario. Esagero il biondo della capigliatura,
arrivo ai toni aranciati, ai cromo, al giallo limone pallido.
Dietro la sua testa, invece di dipingere il muro banale di un
appartamento meschino, faccio un semplice fondo del blu piú
intenso che posso trovare e con questo semplice accorgimento
la testa bionda rischiarata sul fondo blu raggiunge un effetto
misterioso come una stella nel profondo azzurro........."
Il ritratto è uno dei più antichi generi pittorici
che la storia dell'arte ci abbia tramandato, a testimoniare
che da sempre l'uomo è animato da un profondo, fondamentale
desiderio: affidare la propria immagine ad un dipinto per
opporsi all'avanzare del tempo con la preservazione della
memoria, costruire un altro sé dotato di vita propria,
realizzare il sogno faustiano dell'immortalità, un
inganno a metà tra verità ed illusione dal fascino
sottile e vagamente inquietante.
In realtà il ritratto non è solo un genere
pittorico, ma una rappresentazione della percezione che gli
artisti di ogni epoca ebbero di sé e delluomo
più in generale, ciascuno secondo il proprio tempo,
la propria cultura e la propria storia.
Il ritratto ha inizialmente un compito documentale, vuole
rappresentare l'aspetto reale di una persona, è vincolato
al valore riconoscitivo basato sulle fattezze individuali,
così come l'arte è delegata al ruolo della rappresentazione
del mondo, solo nell'Umanesimo rinascimentale, quando la visione
antropocentrica sostituisce quella teocentrica e l'uomo, padrone
del suo destino, acquista una nuova coscienza della percezione
dell'io, il ritratto diventa un mezzo per esprimere il vissuto
interiore del soggetto rappresentato: in questo viaggio alla
rovescia, che l'uomo occidentale intraprende verso l'interno
di sé, assume particolare importanza la corrispondenza
tra interiorità ed aspetto esteriore, che viene indagata
soprattutto per opera di Leonardo da Vinci.
Si deve alla sua intelligenza multiforme e alla sua mentalità
scientifica e speculativa un vero e proprio "Trattato
di Fisiognomica", dove viene codificata questa branchia
delle scienze umanistiche, in verità nota sin dai tempi
di Aristotele, ma mai affrontata prima in termini scientifici,
che si prefigge di giudicare lindole di un uomo partendo
dal suo aspetto esteriore, i moti dellanimo a partire
dai tratti del volto.
Dal '500, attraverso l'opera dei molti ritrattisti rinascimentali,
gli interessanti studi di Giovan Battista Pozzo ed i suoi
sillogismi con il mondo animale, le rappresentazioni metafisiche
dei quadri di Giorgione, l'indagine del '600 in chiave naturalistica
del volto umano, l'opera del pittore William Hogarth, autore
di un "The treaties of beauty" e di studi di fondamentale
interesse sulla fisiognomica nella scia dell'interpretazione
leonardesca, si giunge agli studi antropologici ed evoluzionistici
di Darwin, nel clima positivista dell' '800, e alle teorie
di Cesare Lombroso, psichiatra, che fissa precise relazioni
tra fisionognomica e criminologia.
Nell' '800 il volto, di cui l'Impressionismo sfalda i contorni
in una luminescenza indistinta dove la forma dilaga, è
ritratto in modo tradizionalmente borghese, con accenti intimisti
incentrati sul virtuosismo degli effetti cromatici, in schemi
sostanzialmente tradizionali (basti pensare a Renoir), oppure
nelle forme eleganti e lineari dell'Art Nouveau e nella stilizzazione
naturalistica del Liberty: sarà l'Espressionismo, con
l'esasperata deformazione lineare dei volti di Munch, le "devastazioni
fisiognomiche" di Van Gogh, profondo conoscitore della
materia, le figure di Kirchner, di Gauguin, di Beckmann, a
tradurre nel modo più drammatico e definitivo la sofferenza
interiore di un mondo sull'orlo di un baratro, la prima guerra
mondiale, in ritratti di esasperata soggettività che
preludono al progressivo spostarsi dellattenzione dal
ritratto allautoritratto, dove soggetto ed oggetto coincidono
in unione empatica.
Nel '900 , quando Freud dà alle stampe "Linterpretazione
dei sogni" e "Psicoanalisi dell'Arte e della Letteratura", si capisce che la fisiognomica convergerà
inevitabilmente nella psicologia, che non sarà più
possibile guardare un volto senza leggervi l'interiorità
( "il volto è lo specchio dell'anima").
La
psicologia entra di prepotenza nell'arte e diventa una fondamentale chiave
di lettura per l'analisi della rappresentazione ed anche,
è sempre Freud ad insegnarcelo, dell'interiorità
dell'artista artefice dell'opera: per dirla molto sinteticamente,
ogni ritratto è anche un autoritratto e, simmetricamente,
ogni autoritratto è un ritratto, il volto dell'altro
è lo stagno di Narciso in cui l'artista cerca sé
stesso, affacciandosi sul proprio inconscio.
Nella seconda parte del '900, a seguito della rivoluzione
avanguardista e dell'opera dirompente di alcune straordinarie
personalità artistiche, linquietudine e l'emotività
travolgono ogni canone espressivo, la pittura comincia a erodere
la morfologia del volto umano mentre viene abbandonata ogni
pretesa di naturalismo a favore di una rappresentazione fortemente
soggettiva ed emotiva.
L'irrompere della tecnica fotografica cambierà ancora una volta le carte in tavola e il ritratto fotografico inaugurerà, per l'artista, un nuovo modo di rapportarsi con un soggetto guardato attraverso l'obiettivo di una macchina.
Richard Avedon, fotografo con una sensibilità a 360°, nella prefazione del suo "In the American West" scrive: "Per portare a compimento l’immagine un fotografo ritrattista dipende da un’altra persona. Il soggetto immaginato, che in un certo senso sono io, deve essere svelato in qualcun altro, disposto a partecipare a una finzione di cui probabilmente non è a conoscenza. Le mie preoccupazioni non sono le sue. Relativamente all’immagine, abbiamo ambizioni distinte. Probabilmente la sua esigenza di difendere la propria causa è forte quanto la mia, tuttavia sono io ad avere il controllo.", mirabilmente sintetizzando il concetto focale che la parola ritratto sottende: una interazione, un confronto, uno scambio, un'azione da parte del ritrattista che "implica manipolazioni, sottomissioni. Si arriva all’arroganza, e si agisce in base a ciò che raramente rimarrebbe impunito nella vita ordinaria": in questo corpo a corpo intellettuale, il fotografo svela se stesso in un altro "disposto a partecipare a una finzione".
La possibilità di conoscere il carattere ed indagare
la psiche attraverso lo studio del corpo, appaga la necessità
di ricondurre una realtà non visibile a schemi noti
e perciò rassicuranti: può essere questa una
delle motivazioni per cui l'arte moderna ha affrontato ed
interpretato in mille modi il tema del ritratto, secondo una
linea evolutiva che passa dalla fisiognomica alla psicologia
e alla psicanalisi, fino a non poter più distinguere
percorsi autonomi e delineando proprio nel rapporto fra arte
e psicologia l'asse portante su cui si fonda la cultura occidentale,
non solo visiva, il che ne fa un caso unico nella storia dell'umanità.
* articolo aggiornato il 25/04/2014
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