Il termine Scapigliatura viene desunto dal titolo
di un romanzo di Cletto Arrighi, pseudonimo anagrammatico di
Carlo Righetti, "La scapigliatura e il 6 febbraio" scritto nel 1862
(per la precisione lo stesso Arrighi aveva già usato
questo termine due anni prima sulla rivista "Il Pungolo")
e definisce un movimento lombardo e più specificamente
milanese (molti artisti si insedieranno nella zona centrale
di Corso Monforte, Via Vivaio, Via Conservatorio), sviluppatosi
nel ventennio 1860/80.
Esiste anche una Scapigliatura piemontese,
soprattutto per ciò che riguarda la letteratura, di cui
i più noti rappresentanti sono gli scrittori Giovanni
Faldella e Roberto Sacchetti.
Sono anni di crisi, pieni di contraddizioni, in cui gli ideali
risorgimentali e indipendentisti ai quali gli intellettuali
italiani hanno aderito con entusiasmo si rivelano deludenti
ed inadeguati per risolvere problemi endemici quali la miseria
e l'analfabetismo, nello sbandamento generale anche in campo
artistico e letterario prevale un clima di rassegnata stagnazione
entro modelli accademici ormai frusti, ultimi resti di un
romanticismo decadente e privo di slancio vitale.
La rivolta degli intellettuali contro una società borghese immobilista aggrappata ai propri privilegi economico-sociali
ed alle proprie fasulle certezze non si fa aspettare: Arrigo Boito,
che con Emilio Praga sarà uno dei maggiori rappresentanti
della Scapigliatura in campo letterario, a Parigi nel 1861
intraprende rapporti con l'ambiente artistico cittadino, con
Baudelaire, il trasgressivo autore di "Les Fleurs du
Mal", Flaubert, Zola, importando in Italia il loro costume
di vita bohémien, contro la morale clericale e borghese,
contro la retorica patriottica, contro il perbenismo ipocrita
e conformista.
Lo spirito di rivolta alla base della contestazione si identifica in uno stile di vita sregolato,
tra alcol e droga, ribaltando il diffuso cliché dell'intellettuale
impegnato, chiuso nella torre d'avorio della sua cultura:
anarcoidi, trasgressivi anche nell'aspetto esteriore, trasandati
e ribelli, gli artisti della Scapigliatura contestano gli
insegnamenti ex-catedra, così come li propone la milanese
Accademia di Brera, rifiutano i temi classici, il realismo
della rappresentazione, l'arte di una borghesia piena di regole
e di ordine nella quale non si riconoscono.
Ultimi,
veri romantici, gli scapigliati vogliono esprimere le passioni
e le pulsioni irrazionali dell'anima, dove, libera da regole imposte e restrittive, risiede la vera
identità di ogni uomo.
Fanno la loro comparsa nuovi soggetti e nuovi temi, il ritratto e l'autoritratto,
che meglio si prestano ad una pittura intimista e introspettiva,
il paesaggio, anch'esso caricato di significati psicologici,
pretesto per esprimere personali inquietudini: il linguaggio
espressivo si fa più sciolto e libero, allontanandosi
dalla purezza segnica e dalla levigata stesura cromatica di
stampo accademico per assumere le incertezze ed i contrastati
guizzi luministici che meglio possano esprimere le vibrazioni
dell'animo, le insicurezze interiori, l'instabilità
dei sentimenti.
Come il mondo in crisi che li circonda, la
pittura degli scapigliati è incerta, provvisoria e
frammentata nei mille rivoli di una realtà fragile,
drammaticamente prossima al punto di rottura.
Come accadrà per i Macchiaioli e soprattutto per gli
impressionisti francesi, feroci sono le reazioni della critica
ufficiale in occasione dellEsposizione Nazionale di
Brera nel 1872, in cui espongono i due scapigliati Tranquillo
Cremona e Daniele Ranzoni.
Entrambi gli artisti sono notevolmente influenzati dalla personalità
di Carnovali Giovanni detto il Piccio, artista istintivo e
ribelle, autodidatta geniale che inventa una sua versione
luministica fatta di sfumature nebbiose di sapore preimpressionista,
che faranno dire al critico Valsecchi : "Il suo colore
non è materia, è luce, che si diffonde e fa
crepitare il quadro...è un pulviscolo luminoso sospeso
nell'atmosfera.....".
Mentre Cremona predilige la figura umana, resa sommariamente
con pennellate sporche dalla tipica consistenza filamentosa
(tratto che verrà ripreso dal Futurismo) talvolta con
esagerazioni virtuosistiche, Ranzoni si orienta verso una
pittura tonale sommessa ed intimista, spiccatamente spirituale,
a denunciare il suo carattere ombroso e fragile (una fragilità che gli causerà anche un ricovero in manicomio).
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