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Enrico Castellani, "Superficie bianca"
di Vilma Torselli
pubblicato il 14/05/2007 |
Assolutezza, rigore, indagine
approfondita sui rapporti spazio-luce-forma, precisa definizione
progettuale in superfici discontinue di forte valenza plastica. |
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Enrico Castellani (1930), con Agostino Bonalumi e Paolo
Scheggi punta più rappresentativa di una corrente detta
Arte Oggettuale, teorizzata da Gillo Dorfles che la definisce
come il versante "oggettuale" dell'Arte Concreta,
porta avanti una sua personale ricerca formale di impronta ottico-plastica che sfrutta la diversa incidenza sulla tela della luce, deviata
da rilievi in positivo e negativo ottenuti con supporti sporgenti
alternati a punti di fissaggio: ne deriva una superficie discontinua,
che perde la sua funzione pittorica per assumerne una plastica,
modulata secondo un disegno dal regolare ritmo compositivo,
passibile di infinite declinazioni sul tema del contrasto luce-ombra,
chiaro-scuro.
Ne risultano, come evidente in questo "Superficie bianca"
del 1999, pittura ad acqua su tela estroflessa 80 x 100 cm,
opere monocrome, memori in questo delle tele di Yves Klein,
estranee sia alla pittura che alla scultura, in cui lo spazio
assume una strutturazione autonoma attraverso la variazione
ritmica di estroflessioni e introflessioni della superficie,
uscendo decisamente dal concetto di opera pittorica e di quadro
dipinto.
Aspirando ad affrancarsi dalla bidimensionalità
della pittura, Castellani crea infatti infinite possibilità
di variazioni percettive dell'opera introducendo il mutamento
della luce, senza perdere di vista un rigoroso controllo sul
risultato finale che colloca le sue opere al di là di
ogni sperimentalismo e al di fuori di ogni casualità,
attingendo ad ampie implicazioni concettuali in un rigore formale
che ne determina la caratteristica e la riconoscibilità.
Attraverso un vocabolario geometrico astratto, fatto di segni
materici ripetitivi, Castellani sollecita la percezione visiva e stimola l'elaborazione mentale dell'osservatore al di là
dei significati puramente rappresentativi, proponendo la sua
singolare "pittura" nei termini di un linguaggio universale
e basico, senza limiti di comprensione.
Inquadrabile anche nella corrente della Op Art per la sua
ricerca di tridimensionalità pur facendo un uso moderato
delle illusioni ottiche, l'opera di Castellani ha analogie
anche concettuali con quella di Yves Klein (è questa
una relazione posta in particolare rilievo da Edward Lucie-Smith)
quando l'artista parla di "necessità dell'assoluto"
ricordando così la spinta verso l'illimitato e l'immateriale
che sta alla base dell'opera di Klein, oppure di "miopia
del soggettivismo", prefigurandosi, come Klein, la possibilità
di una sintesi finale per giungere, con i minori mezzi possibili,
all'essenza universale dell'arte e dello spirito.
Per ciò che riguarda, invece, la matrice astratta,
la valenza oggettuale del dipinto, che diventa oggetto spaziale,
la coincidenza tra l'opera e la materia di cui è fatta,
tra esito estetico e caratteristiche materiali tattili, volumetriche,
cromatiche, nel concetto di un'arte in cui contenuto ed espressione
coincidono, sono evidenti le analogie con la corrente di pensiero
che in America genera la Hard Edge Abstraction ed ha evidenti
legami con l'Astrattismo postpittorico (Post Painterly Abstraction), caratterizzandosi tuttavia il lavoro di Castellani per
un personale approfondimento dell'indagine sui rapporti spazio-luce-forma,
concretizzati secondo una procedura dalla precisa definizione
progettuale.
C'è, infatti, nelle sue opere, un carattere di assolutezza
che ne determina la modernità ed al tempo stesso l'intangibilità
dalle mode e dallo scorrere del tempo, un rigore che, pur
nella variabilità del risultato, ribadisce con fermezza
il concetto di variazione su di un unico tema fondamentale,
oscillante tra parametri precisi: "Nelle superfici di
Castellani sono presenti limite e infinito e questa compresenza,
resa elementarmente con le introflessioni e le estroflessioni
della tela, evoca lantinomia come richiamo allassoluto
inesprimibile e un principio di continuità che è
attivo in natura" (Bruno Corà, "Castellani", 1996).
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