Ennio Morlotti (1910-1992) è un artista di temperamento
che ama il contatto fisico con la materia e si esprime attraverso
un complesso di segni decisi e pesanti dai quali, progressivamete,
ha eliminato ogni riferimento descrittivo per giungere ad un
informale materico carico di forza comuncativa.
E' questo il traguardo finale di un iter artistico meditato
e travagliato, che parte dall'esperienza francese, il Cubismo,
il realismo, Courbet, Cézanne, Picasso, passa attraverso
Morandi, l'adesione a "Corrente", al "Fronte
Nuovo delle Arti", al "Gruppo degli otto", si
consolida negli studi accademici a Firenze e a Milano, ed approda,
a partire dagli anni '60, in composizioni dalla struttura forte,
dalla superficie spesso scavata ed incisa, di grande tensione
gestuale, potentemente espressive di una costante vena naturalistica
che si legge nel groviglio dei segni e nel loro andamento allusivamente
organico.
"La materia secondo Morlotti non è una cosa
da vedere, è una cosa da partecipare, in cui entrare,
in cui andar dentro, in cui perdersi, perché solo andando
dentro, perdendosi, toccandola, amandola, la si può
capire totalmente.
" : così dice di
lui Giovanni Testori, che lo definisce ".... grande solitario,
scontroso e dolcissimo, tenero e duro, volitivo e perduto,
coniato certo nella zecca senza pace della Regina Tristitia,
mai soddisfatto (ancorchè divenuto celeberrimo) ",
sintetizzando mirabilmente l'uomo e l'artista, l'artefice
e la sua opera.
L'origine lombarda, la tradizione paesaggistica padana, la
personale ricerca delle radici naturalistiche del linguaggio,
una componente espressionista che spinge l'indagine nel profondo
dell'inconscio, tutto ciò confluisce nell'opera di
questo artista complesso e semplice al tempo stesso, che instaura
con la natura un dialogo non realistico, ma vivacemente vitale.
In questo "Sterpi in inverno", 1960, un olio su
tela cm 86 x 79 cm, il colore sovrapposto in pennellate dense
e grumose esprime la forza espansiva di una materia esuberante,
sensualmente vibrante, in una composizione in cui, come sempre,
l'incertezza interpretativa non ostacola la comprensione spirituale,
la leggibilità al di là di ogni cerebralismo,
il coinvolgimento in una spirale emotiva che rende partecipi
di un percorso introspettivo critico e sofferto.
Quello che
è stato definito il suo sentimento dell'organico è
qui concretizzato nel tema, naturalistico, e nell'uso materico
dei mezzi espressivi, una complessa architettura segnica a
definire una forma che rimane, pur nelle sintetizzazioni e
nelle frammentazioni del tratto, ancora figurativa e morfologicamente
leggibile.
Infatti in Morlotti i segni, anche quando astratti, non sono
a sè stanti, ma conservano una leggibilità complessiva
perché assemblati all'interno di un'atmosfera "significante"
che si coglie attraverso gli stessi schemi percettivi utilizzati
davanti ad un dipinto francamente figurativo.
In bilico tra figurazione e non figurazione, tra quiete contemplativa
ed azione irruente, tra umanità e misticismo, non viene
mai meno, nell'opera di Morlotti, il legame con i luoghi,
il paese, la gente, per un'arte che sia anche esperienza di
vita, contatto con la natura, dove l'opera dell'uomo si riappropria
delle sue radici, della propria storia, della memoria, del
sentimento, con "una severità spoglia e castigata
.. una scontrosa asprezza ...." tutte lombarde, terrene,
laiche, umane eppure profondamente spirituali.
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