Domenico Gnoli (1933-1970), figlio di uno studioso di storia
dell'arte e di una ceramista, cresciuto in un raffinato clima
culturale, con ottime conoscenze dell'arte classica grazie all'insegnamento
del padre, enfant prodige che a soli diciassette anni allestisce
la sua prima mostra, è pittore, illustratore, scenografo,
disegnatore, grafico dalla tecnica accurata e perfezionata alla
quale la straordinaria padronanza del colore e la levigata finitura
del tratto, visivamente vicino all'affresco, conferiscono una
raffinatezza rara nella pittura degli anni '60, entro i quali
egli operò nella sua maturità artistica: presto
conclusa, purtroppo, perché Gnoli muore giovanissimo
a New York nel '70, pur essendo riuscito a manifestarsi, nel
breve arco della sua vita, come un grande pittore di sapientissimo
mestiere, inarrivabile in soluzioni tecniche difficili e ricercate.
Artista pop per l'attenzione all'oggetto comune, con richiami
al Nouveau Réalisme nell'interesse al frammento, ai
resti della realtà, classico nel ricordo della tradizione
coloristica italiana dovuta soprattutto all'educazione paterna
(Edward Lucie-Smith lo collega direttamente al Morandi delle
celebri nature morte), Gnoli sviluppa un suo personalissimo linguaggio
privo di riscontri analoghi nelle esperienze contemporane.
Nascono così le sue riproduzioni su scala macro di oggetti comuni, di dettagli
ingigantiti, come in questo "Il ricciolo", 1968,
acrilico su tela, di particolari ingranditi di arredi e vestiari, di tessuti, cravatte,
abiti, coperte, biancheria, dove la trama della tessitura,
grazie ad una tecnica raffinata e mai appariscente, si impone
per una grande intensità espressiva: scrive Vittorio
Sgarbi: "Ingualcibili come idee platoniche, i letti
dipinti da Domenico Gnoli (1933-1970), considerato un maestro
della Pop Art, sublimano cuscini, coperte e giacigli."
("I Letti Insonni di Domenico Gnoli", Vittorio
Sgarbi, Giovanni Mariotti in FMR, nº 3, Milano, 1982).
Come è evidente nel quadro presentato, dove il simbolo
prende il ruolo del personaggio, il soggetto comunica una
percezione intensa (Giorgio Cortenova, critico d'arte, direttore
di Palazzo Forti, la definisce una "visione oppressiva")
delle cose comuni e dell'esistenza quotidiana, che nell'accentuazione
illusionistica dell'immagine, nella sua spaesante dilatazione
caratteristicamente pop, trasforma l'opera in una metafora
della vita appassionata e controllata insieme.
Avvicinato anche all'Iperrealismo di matrice americana,
forse con insufficienti motivazioni, giudicato da alcuni osservatori
piuttosto freddo, probabilmente per una lettura parziale della
sua opera, Gnoli si distacca nettamente dalla poetica pop
soprattutto per la sua "presenza" nell'opera (quando
la pop art si caratterizza invece per l'assenza sia del'artista
che delle sue emozioni) e per l'utilizzo di un linguaggio
proprio, peculiare, intensamente ed attivamente immaginativo,
che travalica ogni falso problema di stile, che esprime idee
personali senza limiti mentali e senza condizionamenti esterni:
da ciò scaturisce la magia dei suoi oggetti-simbolo
collocati in dimensioni interiori, feticci surreali sospesi
in una realtà metafisica dove anche le cose hanno un'anima.
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