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Adolf Gottlieb, "Blast"
di Vilma Torselli
pubblicato il 15/05/2007 |
Elaborazione del segno in chiave
calligrafica e ideogrammatica e successiva drastica semplificazione,
per un espressionismo astratto ad impronta spiritualista. |
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Adolf Gottlieb (1891 - 1963), russo nato in un
piccolo villaggio presso il mar Nero, naturalizzato americano,
opera in un periodo di particolare difficoltà per la
società americana, gli anni '40, in cui la mancanza di
stimoli e di ideali, un diffuso senso di disperazione e di vuoto,
la crisi della pittura di matrice ottocentesca, priva di significato
se rapportata con una realtà radicalmente cambiata, spinge
gli intellettuali più sensibili verso sperimentazioni
innovative, alla ricerca di uno slancio comunicativo che riporti
l'arte nella società e nella vita. Questo slancio si
concretizzerà nell'action painting, nella furia espressiva
di Pollock e Kline, ma anche nella più contenuta gestualità
degli artisti della scuola del Pacifico, come Rothko, Newman e, appunto, Gottlieb.
La consapevolezza della fine della pittura come era stata
intesa fino ad allora, la presa di coscienza della necessità
di rifondarla da zero, gli fa dichiarare: ".... mi sentivo
libero di tentare qualsiasi cosa, per quanto assurda potesse
sembrare. Che avevo da perdere? Nè il cubismo nè
il surrealismo potevano accontentare uno come me."
Il vuoto di significato, una sorta di horror vacui simile
ad un baratro terrificante, va riempito, Rothko, Newman e
Gottlieb lo fanno recuperando i valori tragici e sempre drammaticamente
attuali di una mitologia primitiva che travalica il tempo,
così dichiarano in una lettera aperta pubblicata sul
New York Times nel '43: "We assert that the subject is
crucial and only that subject matter is valid which is tragic
and timeless. That is why we profess spiritual kinship with
primitive and archaic art": la poetica surrealista di
importazione europea e l'automatismo psichico che nella traduzione
americana diventerà action painting , si riconvertono
così in una pittura astratta ma organizzata nella quale
non sparisce mai il senso della rappresentazione e delle possibilità
sceniche dello spazio.
La sponda del Pacifico ha frequenti scambi culturali con il
dirimpettaio Giappone, Gottlieb deriva dai rapporti con la
cultura zen una elaborazione del segno in chiave calligrafica
e ideogrammatica, con successive drastiche semplificazioni
che denunciano il suo progressivo distacco dall'ispirazione
originaria.
In questo "Blast" del 1957, i grafemi si radunano
nella parte centrale inferiore fondendosi a creare un disegno
complesso ed unitario nel quale perdono individualità,
assimilati in una massa compatta in cui permane una certa
frammentarietà nel gioco di segni minuti, di pennellate
sfumate, mentre una grande forma isolata, centrale, distinta
e definita, posizionata con decisione nel campo superiore
si assume il compito della comunicazione immediata, del primo
impatto visivo con l'osservatore, dominando la tela con perentorietà.
L'isolamento di poche grandi forme in un campo vuoto, in contrasto
con "un complesso di minuzie" sintomo di latenti
"impulsi secondari", come osserva Diane Waldman
("Gottlieb: sing and suns", Art News, 1968) è
il mezzo ricorrente con cui Gottlieb sovverte il concetto
di composizione tradizionale e realizza "immagini araldiche",
così definite da Edward Lucie-Smith, che tuttavia non
riescono a raggiungere autorevolezza sufficiente a fare di
lui una figura centrale dell'espressionismo astratto ad impronta
spiritualista come fu invece Mark Rothko.
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