George Segal (1924-2000) si dedica completamente
alla scultura a partire dal 1960, abbandonando definitivamente
la pittura figurativa e manieristica (copiava Matisse, Bonnard,
gli espressionisti astratti) con la quale aveva esordito nel
mondo dell'arte.
Artista riduttivamente definito pop, Segal rappresenta nelle
sue sculture compositi gruppi complessi ma non casuali di figure
umane colte nei momenti della vita quotidiana, alla fermata
del bus, al bar, al parco, mentre fanno musica, fermate in attività
banali e senza particolare significato, riprodotte a grandezza
naturale utilizzando fasce impregnate di gesso sostenute da
un'impalcatura di filo di ferro o ricavando direttamente un
calco da modelli umani (solo dopo il '76 comincia ad usare il
bronzo): il risultato, di grande effetto scenografico, trasmette
un senso di assurdità straniante che stempera entro atmosfere
ambientali tranquillizzanti e banalmente normali una sotterranea
drammaticità.
Come in questo "Bus Riders", del
1962, tecnica mista di plastica, garza di cotone, gesso, ferro
e legno, 177.8 x 107.6 x 230.4 cm, dove, giocando sul contrasto
tra l'ambiente esterno, lo spazio della realtà, spesso
ricreato con materiali di riciclo, e la marcata artificialità
delle forme che vi si collocano, tra il vistoso antinaturalismo
delle bianche figure e la loro impostazione quasi accademica, Segal
propone momenti di vita congelati, popolati da surreali fantasmi
indistinti nel ricorrente bianco monocromo degli abiti e delle
sembianze, al tempo stesso metafora dell'anonimato dell'attuale
società e del vuoto interiore dell'individuo.
In una sottile analisi dell'alienazione della vita urbana, le figure
di Segal sono spesso ritratte in situazioni di attesa o di
transito, in atmosfere sospese a significare la provvisorità
della vita umana e la sostanziale estraneità psicologica
di ogni individuo verso l'altro, nonostante la vicinanza fisica.
Sono uomini e donne irrimediabilmente soli tra la folla, in mezzo
al traffico, in attesa delverde di un semaforo, in un locale
gremito...... ricordando Hopper e i suoi racconti di solitudini esistenziali.
Molte le analogie con Duane Hanson, anch'egli americano,
artista pop, anch'egli abile sceneggiatore della condizione
umana nella società contemporanea e dell'individuo
solo, nevrotizzato dalla monotonia della quotidianità,
ma opposte le vie intraprese dai due artisti:
mentre Duane Hanson, nei suoi manichini
più veri del vero, ricerca un effetto iperrealistico che vada oltre la realtà stessa, riproducendo minuziosamente
ed artificiosamente i particolari naturalistici, Segal depura
la sua rappresentazione dai dettagli non essenziali creando
figure non finite, e per questo indecifrabili e misteriose,
catturando porzioni di tempo inutile e marginale, cristallizzato
in un eterno presente attraverso l'enigmatica fissità
dei corpi pietrificati.
Dice: "Daily life has a reputation for being banal,
uninteresting, boring somehow. It strikes me that daily life
is baffling, mysterious, and unfathomable.", e coglie
a suo modo il mistero della vita bloccandola nel gesso e mettendola
sotto i nostri occhi nella sua misteriosa banalità,
innescando l'auto-riflessione sulla solitudine e la fragilità
dell'individuo, al quale egli guarda con malinconia e profonda
e commossa umanità.
* articolo aggiornato il 25/11/2014
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