Nel vasto ambito dell'Arte cinetica e della Op
Art, l'ungherese naturalizzato francese Victor Vasarely (1906-1997)
occupa un ruolo dominante: studente alla Bauhaus di Budapest,
fortemente segnato dallo spirito di quella scuola, Vasarely
sviluppa un linguaggio del più tipico astrattismo, scevro
da ogni lirismo fantastico e saldamente collegato alla scienza,
intesa come geometria pura, in composizioni dalla precisa impaginazione
costruttiva di impostazione quasi architettonica nella loro
aspirazione alla tridimensionalità, nelle quali la terza
dimensione è rappresentata dal movimento.
Convinto, nella scia del radicalismo costruttivista russo, della
possibilità di un'arte ad accesso globale ("....
la fine di un'arte personale per una elite sofisticata e' vicina.....
L'arte del domani sara' un tesoro comune collettivo o non sara'
affatto arte"), in una società meccanizzata
in cui la conoscenza allargata dell'opera è resa possibile
dalla sua moltiplicazione, Vasarely sostituisce il concetto
di unicità dell'opera, ormai superato ed obsoleto, con
quello della dinamicità, in grado di rendere ogni quadro
diverso dagli altri e costituire il tocco personale dell'artista,
che l'uso della macchina riproduttrice inevitabilmente cancella.
Come si nota in questo "Vega-Nor", 1969, un olio
su tela di 78 3/4 x 78 3/4" inches, eccellente esempio
di opera op, Vasarely utilizza con grande maestria il linguaggio
tridimensionale, contrapponendo nella stessa immagine diversi
sistemi prospettici secondo una sua personale ricerca sulle
proprietà scientifiche del colore e della linea, volta
alla creazione di immagini virtuali ambigue in grado di alterare
il comune senso ottico-percettivo dell'osservatore, pur entro
gli schemi di una costruzione geometrica rigorosa ed esatta:
le premesse da cui parte Vasarely sono infatti di ordine scientifico
e dogmatico, finalizzate all'affermazione della possibilità
che, inducendo nell'osservatore opportuni stimoli ottici con
risultati percettivi del tutto personali e soggettivi, il
risultato ultimo inganni in qualche modo la scienza.
Questa via è stata percorsa, seppure in termini di
assai maggior rigore scientifico e profondità matematica,
da Maurits Cornelis Escher, straordinario creatore di realtà
impossibili.
Definiti da un reticolo di linee opportunamente deformate,
i riquadri centrali, di dimensioni maggiori, sono contornati
di colori caldi, sui toni del giallo-arancio, che accentuano
un movimento di avvicinamento all'osservatore, mentre i riquadri
laterali si fanno via via più piccoli e di forma regolare,
con un colore di riempimento omogeneo e contorni sempre più
scuri, producendo l'effetto di uno spazio che retrocede e
si appiattisce verso il fondo: giocata sul contrasto tra la
rigorosità della forma e la mutevolezza del colore,
sulla ripetitività del segno che realizza attraverso
una "struttura di ripetizione" un meta-segno percepito
nella sua globalità gestaltica generata da un'illusione
ottica che ha bisogno della partecipazione attiva dell'osservatore
percipiente, una precisa figura sferica emerge dalla superfice
piana, divenuta elemento dinamico, ed avanza nello spazio,
espandendosi.
Come afferma Vasarely, la sua è un' "arte
per tutti", non c'è alcuna recondita intenzione
psicologica, non serve alcun commento, non c'è alcun
simbolismo da decifrare, non c'è bisogno di alcun background culturale per capire, ognuno può trovare un suo significato,
tutti possono comprendere, secondo il concetto di arte sociale e democratica, "cinetica, multi-dimensionale e comunitaria",
per citare le sue stesse parole, basta abbandonarsi all'inganno
visivo e lasciarsi guidare dall'illusione entro uno spazio
magico, puramente ottico, in cui la ricezione dell'immagine
si trasforma in atto mentale attivo e creativo.
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