Max Ernst (1891-1976), dadaista e surrealista,
sensibile alle istanze espressioniste di "Der Blaue Reiter"
e del gruppo "Der Sturm" di Berlino, interessato alle
teorie psicoanalitiche freudiane, affascinato dalla pittura
metafisica di de Chirico, animo inquieto di ricercatore non
solo delle tematiche, ma anche delle tecniche pittoriche e grafiche,
realizza negli anni '20 una serie di composizioni sul ricorrente
tema della foresta, ricordo dell'infanzia passata a Brühl
in Germania, accompagnando il padre che proprio nella foresta
si recava a dipingere.
La nascita del tema è legata alla nascita di una nuova
tecnica che l'artista chiama dapprima grattage e poi frottage e che rappresenta la risposta nel campo delle arti visive alla
scrittura automatica utilizzata dai poeti surrealisti, una variante
di quella teoria dell'automatismo psichico in base alla quale
Masson disegnava a china i suoi contorti grafismi, evocatori
delle instabili immagini fantastiche di una realtà sfuggente
sul punto di trasformarsi continuamente in qualcosa d'altro.
Il principio del frottage consiste nel passare un pezzo di
grafite su un foglio di carta appoggiato sulla superficie
scabra di una pietra, un'asse di legno o altro materiale,
evidenziando e "tirando in superficie" le linee
casuali prodotte dalle irregolarità del supporto con
i suoi i rilievi e le sue rugosità, riducendo al minimo
l'intervento cosciente dell'autore che opera senza intenzionalità
alcuna ed al quale non è richiesto alcun specifico
talento.
Suggestionato da un'affermazione di Leonardo da Vinci, che
esortava i suoi allievi a lasciar vagare lo sguardo sulle
macchie di umidità delle pareti prima di dare inizio
ad un'opera per "esercitare lo spirito all'invenzione",
Ernst elabora in chiave personale la tecnica, applicandola
alla tela cosparsa di colore ad olio e poi abrasa dopo averla
appoggiata su una superficie ruvida.
Compiuta questa operazione ed evidenziate le irregolarità
della superficie colorata, in una specie di trance visiva,
l'artista scrive: " ..... toutes sortes de matières
pouvant se trouver dans mon champ visuel : des feuilles et
leurs nervures, les bords effilochés d'une toile de
sac, les coups de pinceaux d'une peinture moderne, un fil
déroulé de bobine, etc." (Max Ernst, "Au-delà
de la peinture", Cahiers d'Art, 1937).
Marcatamente surrealista, questo ,"Forêt"
del 1927, un olio su tela, 114x146 cm. oggi alla Staatliche
Kunsthalle, Karlsruhe, Germania, parte dalle indicazioni formali
che emergono dalla natura fisica del materiale trattato con
il frottage per dar vita ad una struttura compositiva ricorrente
in tutta la serie delle foreste: forme vagamente organiche,
ramificate e legnose appartenenti ad un improbabile mondo
vegetale, si organizzano in un piano verticale che occupa
tutta la parte inferiore della tela secondo una struttura
a ventaglio che nella parte superiore lascia il posto ad un
cielo luminoso nel quale si staglia una sagoma circolare in
parte occultata: elemento simbolico stilizzato in una forma
geometrica perfetta ed essenziale, l'anello richiama l'idea
di un astro, un disco, un occhio, una luna, una porta magica
che dà accesso ad un mondo surreale. La componente simbolista della pittura di Ernst si consolida nel tema della foresta riprendendo un filone da sempre presente nell'arte tedesca, l’antico mito della selva germanica, lussureggiante mondo verde ricco di mistero e di suggestione
Visione onirica al di fuori di ogni rappresentazione logica,
il quadro propone la contrapposizione tra un primo piano frontale,
bidimensionale, e la profondità di uno sfondo aperto
sulla luce dove inaspettatamente si staglia la forma geometrica,
simbolico richiamo alla perfezione ed alla spiritualità,
quasi che il reale, il concreto, la massa scura della foresta
in primo piano, cupo scenario dai colori forti, ceda progressivamente
alla mistica radiosità di un paesaggio interiore rivelandone,
attraverso il passaggio per un accesso iniziatico, al di là
delle apparenze, l'intimità e "l'inquietante estraneità".
* articolo aggiornato il 19/09/2014
link
Albrecht Altdorfer, "San Giorgio e il drago"
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