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Larry Kagan, "Bycicle"
di Vilma Torselli
pubblicato il 17/05/2007
"....... La gente non guarda mai le ombre: in un oggetto o un'immagine l'ombra ha sempre un ruolo marginale, da comprimario. Trasformandola in qualcosa di riconoscibile, l'ho fatta diventare un'autentica protagonista". (Larry Kagan)
Larry Kagan, immigrato ebreo-russo oggi residente a New York, ha inventato un linguaggio espressivo talmente particolare e personale che non si può esitare a definire unico.
Il materiale prescelto per la realizzazione delle sue opere è il filo d'acciaio, quanto di più duro e consistente si possa immaginare, lavorato, piegato e saldato fino a costruire un intricato groviglio di linee dall'apparente struttura astratta, che tuttavia, posizionato su un fondale ed attraversato da fasci luminosi a sorgente fissa, proietta sul supporto inaspettatamente l'ombra di un'immagine tanto chiaramente definita nelle sue caratteristiche iconiche da rappresentare senza alcun dubbio interpretativo un oggetto ben noto all'osservatore, nel suo valore reale o simbolico (una scarpa, una mano che regge una fiaccola, un cavaliere, la @ delle e-mail ecc.).

In questa "Bicycle" del 2000, acciao con ombra, 42"x30"x17" (106,68 x76,2 x43,18 cm) , è ben evidente l'indecifrabile struttura metallica che, opportunamente illuminata, materializza con la sua ombra sulla parete la forma di una comune bicicletta.

Oggetti-ombre: contraddizione pare essere la parola d'ordine di questo artista che ha il senso plastico di uno scultore e la sensibilità segnica di un disegnatore, che si muove con disinvoltura dalla tri alla bi-dimensionalità, che ci spiazza e ci confonde in un ironico gioco di rimandi tra materia ed evanescenza, tra astrattismo e figurativismo, tra durezza e lievità.

Le ombre sono importanti indizi visivi dai quali traiamo informazioni sull’illuminazione, la forma, la dimensione (specie la profondità), lo spazio atmosferico, generalmente senza averne coscienza: Kagan definisce le sue ombre “errate”, non c’è infatti rispondenza formale tra l’oggetto e la sua ombra, i suoi reticoli generano ombre indipendenti dalla loro struttura, in violazione a tutti i concetti acquisiti sulle ombre attraverso la comune esperienza, fino ad indurre l’osservatore a dubitare della loro veridicità.
Grazie a questa dissonanza visiva fra l’oggetto e la sua ombra, Kagan ci fa intravedere un percorso creativo inesplorato ed affascinante, sul quale avventurarci con curiosità e meraviglia.

Paradigma di un'essenza metafisica che sta al di là della realtà oggettuale, le ombre di Kagan, come egli stesso dichiara, "aiutano a chiarire le ambiguità che sono inerenti alla percezione visiva, stabiliscono il ruolo cruciale che la luce gioca nel modo di interpretare gli eventi del mondo intorno a noi. E, cosa molto più importante, lasciando alle ombre uno spazio importante nella narrazione, mi pongo la questione di cos'è il reale": denuncia così la matrice concettuale del complicato gioco di incastri della sua ferraglia contorta, divertente e sorprendente, gioioso e vivace come la luce che le dà forma, lontano da ogni gravità intellettualistica.

Senza dimenticare la componente gestuale dell'arte moderna americana, nè il gusto pop che gli fa tirar fuori dal suo cappello di sofisticato prestigiatore oggetti banali e quotidiani, una scatola, un libro, una pistola, ispiratigli da ciò che vede comunemente attorno a sè, oggetti che diventano magici e stranianti, secondo il più puro stile new dada, grazie alla trasformazione indotta dal raggio di luce, simbolico mezzo per illuminare una nuova, impensata via alla percezione della realtà, che non si fermi alle apparenze, ma cerchi l'anima (o l'ombra) delle cose. Dimenticandosi dei canoni visivi che vogliono, nell'arte moderna, l'ombra come rappresentazione simbolica della parte oscura del reale, di ciò che è celato all'esperienza sensoriale, accessibile solo attraverso l'introspezione psicologica e l'analisi dell'inconscio.

Per Kagan, al contrario, l'ombra è l'unica realtà, la materia è mezzo catalizzatore che la rivela guidandoci in quella zona border-line della coscienza in bilico tra vero e falso, tra verità ed illusione, dove il reale sfuma nell'immaginario inventando una nuova dimensione spaziale.
Dice del suo lavoro: "....... La gente non guarda mai le ombre: in un oggetto o un'immagine l'ombra ha sempre un ruolo marginale, da comprimario. Trasformandola in qualcosa di riconoscibile, l'ho fatta diventare un'autentica protagonista".

* articolo aggiornato il 25/05/2013


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