Frank Auerbach (1931) riassume in una
sostanziale mancanza di idealizzazione ed in una visione complessivamente
tetra la sua matrice neoespressionista ed una propensione psicologica
ad una introspezione cupa, rafforzata dalle sue personali vicende
umane e dalla tragica privazione della famiglia ebrea sterminata
dalle leggi razziste.
Allievo del vorticista David Bomberg, personalità
complessa e sofferta che forse trasmise ai suoi allievi parte
delle sue problematiche interiori (tant'è che anche
in Leon Kossof, egli pure suo allievo, si riscontrano caratteristiche
indicative) Auerbach, in un'intervista rilasciata a John Tusa
che lo interroga sull'influenza e l'insegnamento che Bomberg
gli ha trasmesso dichiara di essere stato affascinato dalla
sua personalità congenitamente ribelle, dalla sua intelligenza
profonda, dal suo innato senso plastico, di averne appreso
il senso dell'arte, la capacità di condurre la ricerca
formale ed i mezzi espressivi sempre più in profondità,
perché una figura può sempre essere ridisegnata,
ripresa e riesplorata.
E quando l'intervistatore suggerisce:"Seeking
the spirit in the mass", I think is a Bomberg phrase",
Auerbach risponde:" It certainly is, yes."
Dichiarando che Bomberg non cercò mai di convertirlo
al Vorticismo, del maestro Auerbach assimila la tendenza verso
una identificazione totale con il soggetto rappresentato,
in una sorta di compenetrazione fisica che lo porta a scalfire
ed abradere la tela, a scavarne la superficie sulla quale
l'immagine viene ripetutamente graffiata e tormentata da un
sistematico lavoro distruttivo, da un laborioso processo trasformativo
che più volte rimodella la forma nel tentativo di mutarla
in altro, di trasfigurarla in arte.
Il risultato finale, come in questa "Testa di Julia
II" del 1990, acrilico su tavola di 55.9x43.2 cm., è
un'immagine irriconoscibile che l'osservatore deve faticosamente
recuperare entro l'intrico imbrogliato delle linee, con attento
impegno interpretativo, se vuol riconoscere, se vuol capire
la ricerca di una realtà ossessiva impossibile
da possedere totalmente, destinata a restare inevitabilmente irragiungibile,
fuori portata, oltre ogni limite estremo.
Come Kossof e soprattutto come Lucian Freud, tenendo presente
una innegabile derivazione dalla fisicità nevrotica
del figurativismo di Bacon, Auerbach costruisce una figura
dotata di una sua matericità intrinseca, non immagine
di un soggetto, ma essa stessa soggetto, materializzazione
di un'immagine che nella realtà non esiste, che è
essa stessa l'unica realtà, che non rappresenta altro
da sè.
A questa immagine Auerbach conferisce vita
autonoma attraverso successive fasi di costruzione e decostruzione,
lasciando tracce evidenti e vistose del suo laborioso intervento e della
fatica della creazione nella materia pittorica, densa, spessa
e tormentata in profondità da una elaborazione segnica
insistita ed in un certo senso metodica nonostante il linguaggio caotico.
Emerge infatti nel disfacimento della forma una intenzionalità
precisa e sistematica che contrasta con il disordine espressionista
del risultato, lontano tuttavia dal compiacimento stilistico
di Bacon e dalla calcolata stesura delle pennellate di Freud,
con qualche richiamo a Georg Baselitz, precorritore della
corrente neo-espressionista, per quanto riguarda una organizzazione
tecnica del segno potente e marcato, della forma materica
e del cromatismo deciso entro i limiti di una composizione
libera ma non casuale, dove la figurazione, seppure faticosamente
conservata, resta un preciso e rigoroso tema conduttore.
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