Edward Lucie-Smith individua nel Futurismo tre
fondamentali ragioni che lo rendono un movimento di grande interesse
per gli studiosi dell'arte: la prima è che esso esprime
alla perfezione lo spirito aggressivo delle posizioni di avanguardia
nell'immediato precedere della prima guerra mondiale, la seconda
è che si tratta del primo movimeno organizzato e cosciente,
ansioso di autodefinirsi e connotarsi anzichè lasciare
questo compito alla critica, la terza è che Marinetti
riuscì a radunare attorno al suo manifesto artisti tutti
di eccezionale talento, Balla, Boccioni, Severini e tanti altri,
che con grande spirito di corpo e identità di intenti
assunsero come tema conduttore delle loro opere la modernità,
il dinamismo, la velocità e tutti gli aspetti tecnici
di un mondo in fermento, alla vigilia di grandi conquiste sociali
(o almeno così pareva).
Osserva a tal proposito Alessandro Tempi, in una sua pagina
de "Il Discorso Tecnologico dell'Arte" come, in
realtà, il Futurismo pervenga ad una estetizzazione
dei mezzi tecnici, a quella che altri definiscono estetica
della macchina, considerando i mezzi tecnici dal punto di
vista del loro significato culturale, lontano da un'ottica
materialistica, con atteggiamento intellettualistico che ne
ricerca il significato simbolico.
Dall'idea del movimento, gli artisti futuristi arrivano al
concetto di simultaneità, che impone di raffigurare
sulla stessa tela le diverse fasi del movimento nel suo divenire,
completando e superando la ricerca cubista che, rappresentando
un oggetto da più punti di vista simultaneamente, aveva
introdotto nell'opera d'arte il concetto della temporaneità:
per la prima volta dalla nascita della prospettiva, l'arte
cessa di essere confinata nella rappresentazione di un singolo
momento pietrificato ed introduce l'idea del passaggio del
tempo entro i confini della tela.
Questo concetto sarà gravido di conseguenze per tutta
l'arte futura.
Nell'opera proposta, "La città che sale",
1910-11, un olio su tela, 200 x 290,5, oggi al Museum of Modern
Art, New York, prima opera futurista di Umberto Boccioni (1882-1916), sono presenti
tutti gli elementi tipici della poetica futurista, sia dal
punto di vista concettuale che formale.
L'artista vuol dipingere il frutto del nostro tempo
industriale, raffigurando un momento di lavoro in un
cantiere industriale, introducendo molti elementi realistici,
il cantiere, elementi di periferia urbana, impalcature e ciminiere,
mettendo in particolare risalto la simbiosi di uomini e cavalli
fusi in un esasperato sforzo di grande dinamicità,
a simboleggiare l'importanza centrale del lavoro umano integrato
con il progresso industriale.
L'impianto prospettico, il punto di vista verso l'alto, il
trattamento del colore di matrice divisionista, il tocco nervoso
delle pennellate direzionali dinamizzano i volumi ed introducono
nella composizione tensione e leggerezza, coinvolgendo tutti
gli elementi della rappresentazione in uno slancio vitale
ascensionale che è quello dell'innarrestabile progresso
della modernità che sale, metaforicamente e realmente,
risucchiando in un turbine vorticoso uomini e cose.
"La città che sale" diventa così enfatica
celebrazione della moderna metropoli, dove "tutto si
muove, tutto corre, tutto volge rapido", un sasso scagliato
contro l'apatia culturale e il peso morto di un passato che
andava rifondato.
link:
Futurismo
Il Futurismo fra Firenze e Fiume
|