"Art as art", frase emblematica per
capire l'opera di Ad Reinhardt (1913-1967), personalità
complessa ed introversa difficilmente collocabile in una corrente.
In polemica con l'Espressionismo astratto, Reinhardt persegue
un ideale di chiarezza espressiva e precisione segnica, di assolutezza
ed essenzialità in un linguaggio che diviene sempre più
rigoroso e minimalista, radicale e riduttivo, ripiegato sull'analisi
di sé stesso, una sostanziale astrazione geometrica tra
Mondrian e Albers, nell'idea che l'Astrattismo sia giunto al
capolinea delle sue sperimentazioni e che la pittura si debba
annullare per rinascere.
Negli anni '40, Reinhardt si avvicina alla Scuola di New
York, conosce Newmann, Still e Rothko e ne subisce in qualche
misura l'influenza realizzando grandi tele all-over, tuttavia,
pur affascinato dalla filosofia zen, dalla spiritualià
di Rothko, dalla concettualità di Newman, con grande
indipendenza intellettuale intraprende una via personale che
attua una estrema semplificazione del gesto e che fa presagire
quale sarà lo sviluppo finale della sua pittura, campiture
rigorose, geometrie severe, assolutismo riduttivo della forma.
Ed infatti, la conclusione a cui perviene Ad Reinhardt è
sintetizzata in quelli che egli stesso ha chiamato dipinti
definitivi, come quello presentato, tutti neri o sfondi neri
con segni neri sovrapposti appena visibili, che egli ripeterà
in molte versioni con una certa ossessività fino alla
fine della vita, dove il monocromo esprime la volontaria,
totale rinuncia al segno per una pittura basica, di "grado
zero", dove la semplificazione arriva all'annullamento,
dove anche il colore è abolito per non fornire tracce
o connotazioni formali, risolvendo così definitivamente
il conflitto tra immagine ed astrazione, tra opera e idea,
tra visibile ed invisibile, tra tangibile ed intangibile.
Vicino alla Color-Field Painting, come Mark Rothko, in un'idea
di arte erede dell'Espressionismo astratto, ma austera ed
impersonale, controllata ed intellettualistica, dalle superfici
di colore piatto e bidimensionale a larghe stesure, vicino
alla Post Painterly Abstraction, come Josef Albers, una corrente
che cerca di portare alle conseguenze estreme il discorso
astrattista, fino a renderne impossibili ulteriori sviluppi,
Reinhardt dichiara:"Dipingere e ridipingere la stessa
cosa ancora e dinuovo, ripetere e raffinare ancora e ancora
l'unica forma uniforme......" (Ad Reinhardt, "Art
as art", 1962), sintetizzando così il procedere
del suo fare artistico.
Fuori di dubbio, Reinhardt è il principale anticipatore
della Minimal Art e del Concettualismo proprio per quel coerente
processo di riduzione e sottrazione di tutto ciò che
convenzionalmente costituisce un quadro, che conduce oltre
il limite della percettibilità e della comprensione
fino a giungere alle soglie della scomparsa totale: l'immersione
nel nero assoluto è una necessaria catarsi per addivenire
alla ridefinizione del concetto stesso di arte, al di là
delle sue implicazioni narrative, spettacolari, estetiche,
tecniche, perché "..... L'unica cosa da dire
sull'arte è che è una cosa sola. L'arte è
arte-in-quanto-arte e ogni altra cosa è qualunque altra
cosa." (Ad Reinhardt, "Art as art", 1962)
"Black Painting No. 34", 1964, un olio su tela
oggi alla National Gallery of Art, Washington, è una
pittura estrema, dove "Il nero realizza l'idea di
un'arte assolutamente pura e "sublime" tautologicamente
ripiegata su se stessa, scevra da contenuti narrativi ed emotivi",
perché il nero non lascia spazio ad interpretazioni,
ad ambiguità, è neutro nell'assorbire e nel
rimandare, non è forma, non è colore, non è
passione, è il vuoto, fisico e logico, matematico,
è lo zero, un concetto ed un numero che la filosofia
classica rifiutò a lungo e che rappresenta invece "la
nuova dimensione legata al vuoto quantico ed alla
negatività, elementi che sono alla base
della grande frattura delle arti, propria della
seconda metà del XX secolo." (Enrico Pedrini)
link:
La pittura è metastorica?
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