All'interno della prima grande produzione artistica
romantica, un pittore sovrasta nettamente gli altri, Caspar
David Friedrich, vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo, attivo
soprattutto nella capitale artistica tedesca, la Dresda di Gottfried
Semper. Autore di quadri celebri ormai universalmente, come
Das Eismeer del 1824 (Il mare di ghiaccio, o anche Il Naufragio
della Speranza) e Der Wanderer über dem Nebelmeer del 1818
(Il viandante sul mare di nebbia) , Friedrich, 36enne, dipinse
tra il 1809 e il 1810 "Abtei im Eichwald (Abbazia nel querceto)",
olio su tela di 110,4 x 171 cm., oggi a Berlino, alla Alte Nationalgalerie,
un'opera nella quale sono esemplarmente racchiusi tutti i temi
del primo Romanticismo.
Al centro la rovina, il brandello murario di una grande struttura
gotica, che solo grazie al titolo del quadro identifichiamo
come parte di un'abbazia; intorno al rudere, i profili scheletrici
di alberi, disposti come una spettrale quinta di teatro; nella
fascia inferiore, una congelata radura, un tempo sicuramente
sede degli edifici sacri, aperta nel fitto bosco di querce.
Piccoli, minuscoli, alcuni monaci stanno portando una bara
al di là del portale; lapidi scure e una croce piegata
spiegano che oggi quel campo è un cimitero (le rovine
sono state identificate con sicurezza, si tratta dell'abbazia
cistercense di Eldena presso Greifswald, paese natio di Friedrich).
Una luce livida, che uniforma in toni bruni o giallastri tanto
la natura che le opere degli uomini, si riflette nella nebbia
leggera dell'alba.
Come in una poesia di Heine, o in una canzone di Schubert,
Friedrich ci suggerisce i temi della sua riflessione: la morte
è morte fisica, fine della vita, fine dei colori, fine
della luce; nell'immagine della morte si trasfigurano le rovine
dell'abbazia, gli scheletri degli alberi, le pietre tombali,
il funerale. Le cose muoiono come muoiono gli uomini; l'abbazia
forse un tempo poderosa, oggi è in rovina; i grandi
alberi sono spogli. Eppure, se la morte è morte di
tutto, i monaci e l'abbazia dovrebbero segnare la persistenza
della fede, della vita oltre la morte, della speranza; dovrebbero,
perché la piccolezza degli esseri umani davanti alla
Natura e il dissolversi delle loro opere davanti all'usura
del Tempo, nella dialettica tra vita e morte, tra notte e
giorno, rendono ancor più misterioso il nostro destino.
La luce dell'alba che, al centro del quadro, si manifesta
quasi disegnando una croce nella finestra gotica, potrebbe
simboleggiare la presenza divina, la Provvidenza, la vita
oltre la morte. Ma il pessimismo di Friedrich, che ricorda
quello di Leopardi, appare planetario, globale; la presenza,
come in altre sue opere (si pensi in particolare al Mönch
am Meer, Il Monaco in riva al mare, di appena un anno prima,
quadro che con questo forma una sorta di dittico sulla meditazione
e sul mistero), di argomenti, figure e personaggi sacri suggerisce
più che imporre i temi della riflessione, della meditazione
e forse anche della preghiera. In questa ambiguità
di fondo, Friedrich lascia allo spettatore la scelta tra i
possibili presagi, confermando la modernità della sua
concezione artistica.
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