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Caspar David Friedrich, "Abtei im Eichwald"
di Andrea Bonavoglia
pubblicato il 18/05/2007
Un'opera esemplare del romanticismo tedesco, pervasa di un pessimismo planetario e globale, accostato ai temi della riflessione, della meditazione e forse anche della preghiera: un'ambiguità di fondo che lascia allo spettatore la scelta tra i possibili presagi, confermando una concezione artistica di grande modernità.
All'interno della prima grande produzione artistica romantica, un pittore sovrasta nettamente gli altri, Caspar David Friedrich, vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo, attivo soprattutto nella capitale artistica tedesca, la Dresda di Gottfried Semper. Autore di quadri celebri ormai universalmente, come Das Eismeer del 1824 (Il mare di ghiaccio, o anche Il Naufragio della Speranza) e Der Wanderer über dem Nebelmeer del 1818 (Il viandante sul mare di nebbia) , Friedrich, 36enne, dipinse tra il 1809 e il 1810 "Abtei im Eichwald (Abbazia nel querceto)", olio su tela di 110,4 x 171 cm., oggi a Berlino, alla Alte Nationalgalerie,
un'opera nella quale sono esemplarmente racchiusi tutti i temi del primo Romanticismo.

Al centro la rovina, il brandello murario di una grande struttura gotica, che solo grazie al titolo del quadro identifichiamo come parte di un'abbazia; intorno al rudere, i profili scheletrici di alberi, disposti come una spettrale quinta di teatro; nella fascia inferiore, una congelata radura, un tempo sicuramente sede degli edifici sacri, aperta nel fitto bosco di querce. Piccoli, minuscoli, alcuni monaci stanno portando una bara al di là del portale; lapidi scure e una croce piegata spiegano che oggi quel campo è un cimitero (le rovine sono state identificate con sicurezza, si tratta dell'abbazia cistercense di Eldena presso Greifswald, paese natio di Friedrich). Una luce livida, che uniforma in toni bruni o giallastri tanto la natura che le opere degli uomini, si riflette nella nebbia leggera dell'alba.

Come in una poesia di Heine, o in una canzone di Schubert, Friedrich ci suggerisce i temi della sua riflessione: la morte è morte fisica, fine della vita, fine dei colori, fine della luce; nell'immagine della morte si trasfigurano le rovine dell'abbazia, gli scheletri degli alberi, le pietre tombali, il funerale. Le cose muoiono come muoiono gli uomini; l'abbazia forse un tempo poderosa, oggi è in rovina; i grandi alberi sono spogli. Eppure, se la morte è morte di tutto, i monaci e l'abbazia dovrebbero segnare la persistenza della fede, della vita oltre la morte, della speranza; dovrebbero, perché la piccolezza degli esseri umani davanti alla Natura e il dissolversi delle loro opere davanti all'usura del Tempo, nella dialettica tra vita e morte, tra notte e giorno, rendono ancor più misterioso il nostro destino.

La luce dell'alba che, al centro del quadro, si manifesta quasi disegnando una croce nella finestra gotica, potrebbe simboleggiare la presenza divina, la Provvidenza, la vita oltre la morte. Ma il pessimismo di Friedrich, che ricorda quello di Leopardi, appare planetario, globale; la presenza, come in altre sue opere (si pensi in particolare al Mönch am Meer, Il Monaco in riva al mare, di appena un anno prima, quadro che con questo forma una sorta di dittico sulla meditazione e sul mistero), di argomenti, figure e personaggi sacri suggerisce più che imporre i temi della riflessione, della meditazione e forse anche della preghiera. In questa ambiguità di fondo, Friedrich lascia allo spettatore la scelta tra i possibili presagi, confermando la modernità della sua concezione artistica.


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