Pippo Rizzo (1897-1964) pittore corleonese,
è forse il più significativo esponente del Futurismo
siciliano, pur non dimenticando il notevole ruolo assunto anche
dai colleghi Giovanni Varvaro e Vittorio Corona. Con un esordio
verista, radicato nella cultura isolana tradizionalmente figurativa,
Rizzo, che fu maestro del giovane Renato Guttuso, aderisce al
Futurismo trascinato dal dirompente propagandismo di Marinetti,
divenendo in prima persona punto di riferimento del movimento
in Sicilia, dove crea un cenacolo d'arte, la "Casa d'arte
futurista Pippo Rizzo" nella sua stessa abitazione, facendosi
promotore di mostre, convegni, incontri.
La linea che Rizzo segue è quella del secondo Futurismo,
quella di Balla e Depero e del manifesto per una "Ricostruzione
futurista dell'universo" (1916), riconoscendo in Giacomo
Balla il sicuro riferimento linguistico della sua pittura. Tuttavia
l'interesse fondamentale dell'opera di Rizzo si focalizza nella
particolare specificità di un linguaggio formale che,
seppure nel più vasto ambito di un movimento nazionale,
conserva peculiari caratteri autonomi, come tutta la cultura
isolana.
Per non cadere tuttavia nella retorica della lontananza e dell'isolamento
che accompagna un po' tutta la storia della Sicilia, va sottolineato
che, in tutto il '900, il momento futurista coincide con la
condizione di massima vicinanza del mondo intellettuale siciliano
con quello del continente, in una comunanza di intenti e di
programmi che fa scrivere a Marinetti: "Venti anni di Futurismo
italiano vittorioso che ringiovanirono e velocizzarono la terra,
salutano te, caro e grande Pippo Rizzo, e tutti i Futuristi
siciliani....".
Caratterizzato da intensi scambi culturali tra i vari gruppi
regionali, da legami amicali, da efficace circolazione dell'informazione,
da contaminazioni culturali più o meno consapevoli, il
Futurismo italiano è infatti l'unico movimento moderno
che riesce a riunire entro un comune ambito di ricerca personalità
lontane geograficamente e diverse per formazione. Ciò tuttavia non riguarda la Sicilia dove è forte
il ruolo istituzionale esercitato dalle Accademie e l'adesione
all'avanguardia è seguita a breve da un'onda di ritorno
verso le rassicuranti certezze di collaudate esperienze locali.
Questo "Ritorno", olio su tela del 1928 ca., di
cm 58,8 x 72, del pieno periodo futurista di Rizzo (1916 -1925),
appartiene all'ultima fase del suo iter artistico nell'ambito
della corrente, poichè la sua ulteriore attività
si evolverà poi all'interno del Novecento di Margherita
Sarfatti, nello spirito di un ritorno alle origini e di un
recupero delle radici culturali figurative della pittura della
sua terra.
Rizzo pare così voler ribadire, a conclusione
del suo percorso artistico ed umano, le sue origini ancestrali
fantastiche e mitiche, con caratteristiche popolari e folcloristiche,
senza tuttavia cadere mai nel provincialismo (arance, limoni,
pupi e paladini diverranno icone classiche del suo mondo poetico).
In questo dipinto gli elementi futuristi ci sono tutti, la
scansione quasi geometrica delle campiture cromatiche, la
compenetrazione dei piani, il dinamismo delle linee, il turbinio
della luce che si diparte in bagliori di lame dalle ruote
rotanti: è comunque ben evidente l'opera di manipolazione tecnica
che il futurista siciliano Rizzo attua nei confronti delle
modalità esecutive e figurative del Futurismo nazionale,
rielaborato in coerenza con una tradizione differente da quella
di qualsiasi altra parte d'Italia, dominata dall'ecclettismo
derivato dalla sovrapposizione di antiche e diverse culture,
dall'innato rifiuto del ricalco e dell'imitazione da parte
di un popolo conscio ed orgoglioso della propria peculiarità.
Punto di forza della pittura di Rizzo, un cromatismo acceso,
blu denso e giallo carico contrapposti, verdi in varie sfumature,
tutte le gradazioni dei colori mediterranei in una vera e
propria esplosione di quello che Marinetti, conquistato dallo
splendore dell'isola, definiva il "colorificio del cielo".
"Io ho sentito la Sicilia vibrante di colore e di
luce.... " dichiara Rizzo, rivisitando l'iconografia
tradizionale, i pescatori al lavoro, l'acquaiolo, il teatro
dei pupi o, come in questo caso, il tipico carretto siciliano,
riattualizzata da pennellate dense di effetti luminosi e di
fantasiose scansioni cromatiche, in sintetiche trasfigurazioni
della realtà degli umili, espressione di una vena artistica
carica di tensione vitale dove il dinamismo si attua attraverso
la luce, simbolo della vita e della terra di Sicilia.
* articolo aggiornato il 26/05/2013
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