Le allegorie e le leggende legate al vino ed
al rituale del bere sono numerosissime e molto lontane nel tempo,
la mitologia greca ha addirittura divinizzato questa antica
bevanda ed il suo consumo collocando nell'olimpo pagano un dio
del vino, mentre il cristianesimo lega simbolicamente il vino
al sangue divino (singolare accostamento, divino-di vino!),
a sottolineare, in ogni caso, la valenza sacrale del gesto del
bere.
L'arte del '900, in particolare la giovane arte del manifesto
pubblicitario, costruisce una ricca iconografia attorno a questo
tema, spaziando dal mito al piacere al vizio ad esso legati,
rappresentando i luoghi ed i modi di consumo di questa bevanda
conosciuta in tutto il mondo, osterie, caffè, tavolate
conviviali, o anche solo bottiglie e bicchieri, il tutto per
rappresentare uno stile di vita in genere improntato ad una
visione del mondo allegra, semplice e genuina, a non smentire
il fatto che "in vino veritas".
Fortunato Depero (1892-1960) esegue nel '44 questo grande
dipinto su tavola nel quale restituisce il gusto di una vita
dai piaceri semplici, dove stilizzate figure maschili brindano
tra fiaschi e calici alzati in una scena tuttavia non priva
di una certa aulicità celebrativa: non va dimenticato,
infatti, che l'opera di Depero si colloca in un periodo storico
nel quale il vino, prodotto tipicamente italiano (non a caso
l'antico nome dell'Italia era Enotria, la terra del vino),
rappresenta un sicuro punto di forza dell'economia nazionale
ed il regime fascista è particolarmente propenso a
promuoverne l'immagine in tutti i campi, compreso quello artistico.
Il vino, tema sviluppato anche da molti altri artisti contemporanei
come Severini, Mafai, Cagnaccio di San Pietro, Dudovich, Muggiani,
Franzoni, Metlicovitz, viene così sottolineato nei
suoi soli aspetti positivi, simbolo di calore, di passione,
di fratellanza, di piacere e di sensualità, mediatore
verso ogni libertà espressiva compresa quella dell'arte.
" ..... io voglio del vino asciutto.. rosso chiaro
con trasparenza di rubino. Accostando il bicchiere alle labbra,
un tepore profumato mi deve leggermente inebriare. Al palato
deve apparire quieto, scorrevole e dissetante. Nella gola
deve scivolare come una cascatella cristallina di pace raccolta
e di poesia silenziosa. Attraverso i suoi riflessi devo vedere
la linea flessuosa del suo profilo sottile di vespa chiaro,
sanguinello di fragola filtrata con vene azzurrine di aria
purissima prealpina. Vino preparatorio
adolescente
primaverile che mi dia un senso di bagno interiore, di sana
strigliatura ai muscoli e di leggero calore ottimista!",
così scrive il trentino Depero, che è anche
poeta, ("Quattro bocche assetate", da Liriche radiofoniche,
1934) esprimendo le sensazioni vissute da quattro bocche nellassaporare
vini diversi, con una intensa vena di lirismo che qualcuno
ha definito "enologico".
In questo "Riti e splendori dosteria" del
1944, olio su tavola di cm 120 x 82, giocato sui freddi toni
cromatici di verdi-violacei e marroni spenti, grande assente
proprio il vino, quasi che l'artista voglia rappresentare
soprattutto l'atto del bere, enfatizzato dalle braccia piegate
nel gesto dei bevitori e dalle mani che afferrano saldamente
i bicchieri, mentre una certa rigidità delle forme
solidamente costruite, percorse da linee verticali ed oblique
ad andamento geometrico, modera in parte il senso di conviviale
euforia dei "riti e splendori d'osteria": Depero,
autore fra l'altro di un saggio di gastronomia pubblicato
sulla rivista "Futurismo" (1933), dipinge così
il suo inno al vino, alimento che deve, come tutto il cibo
"futurista", eccitare la fantasia prima ancora
di tentare le labbra ( "Fisiologia del gusto",
prima edizione 1825, di Anthelme Brillat-Savarin).
Pur essendo Depero tra i più attivi artisti nostrani
che rimarcano la loro divergenza dal Cubismo e muovono alla
ricerca uno "stile" di quello che sarà il
Futurismo italiano per una "Ricostruzione futurista dell'universo"
("Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare
questa fusione totale per ricostruire luniverso rallegrandolo,
cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e
carne allinvisibile, allimpalpabile, allimponderabile,
allimpercettibile), tuttavia il Cubismo, soprattutto
quello sintetico picassiano, non appare del tutto rinnegato
in questo dipinto, a conferma di quella personale ed originale
sintesi tra Futurismo, Cubismo, Orfismo e Astrattismo che
colloca l'operare artistico di Depero sotto il controllo di
una necessità di costruzione formale di radice cezanniana.
Aspetto che si coglie essenzialmente nella produzione pittorica
di questo artista eclettico, il quale, durante la sua carriera
molto produttiva, realizzò anche coloratissimi arazzi,
manifesti pubblicitari, mobili e soprammobili, giocattoli,
abiti e panciotti e molti altri progetti di design, mostrandosi
radicalmente futurista, ma aperto a molteplici contaminazioni
culturali e curioso del panorama artistico internazionale.
|