Susan Rothenberg (1945) appartiene alla corrente New Image affermatisi a metà degli anni Settanta, che
ebbe un ruolo cruciale nella transizione dall'astrazione alla
figurazione ed anticipò il movimento neoespressionista
dei primi anni Ottanta, caratterizzato dal ritorno ad un sobrio
realismo, in questo assecondando, dopo il lungo dominio dell'Espressionismo
astratto e della Pop Art, le tendenze sia dell'arte che del
pubblico verso un recupero dell'iconicità e della narrazione.
Il linguaggio severamente figurativo di Susan Rothenberg
non spazia eccessivamente nelle tematiche e nella sperimentazione
tecnica, addentrandosi però in profondità:
come il dipinto presentato esemplifica, le immagini figurative
sono semplificate, quasi vicine all'astrazione o comunque
ad una essenzialità del segno vigoroso che le fa somigliare
a graffiti delle caverne (il bisonte di Lascaux), secondo
un linguaggio minimale ma tutt'altro che povero, spoglio ed
al tempo stesso riccamente culturale.
Soggetto del dipinto e tema ricorrente nella pittura della
Rothenberg, la silouhette di un cavallo, comparsa per la prima
volta nel 1973 e da allora riproposta in poche e ripetute
posture, giocata su una grande variazione cromatica degli
sfondi, forma di pesantezza scultorea contemporaneamente volumetrica
e piatta.
L'artista dice : "Per anni non ho riflettuto sui motivi
per cui usavo il cavallo. Pensavo semplicemente al tutto e
alle parti, alle figure e allo spazio...... Identifico fortemente
il contenuto del mio lavoro con la spiritualità, con
un impulso religioso universale", ed infatti dichiara
che il significato di alcune delle immagini eseguite è
un mistero per lei stessa, rappresentando un suo personale
modo di pregare attraverso un talento che ha cercato di perfezionare
con la perseveranza.
Il risultato di questo sentire fortemente improntato ad un
concetto quasi mistico della realtà è un'immagine
solitaria, stilizzata e raffinata, centrata in tele di grandi
dimensioni a tempera o acrilico, ben delineata da un segno
quasi sempre nero su sfondi prevalentemente monocromi, fermata
nel bel mezzo di un elegante movimento efficacemente reso
con poche linee, una forma chiusa e tesa di contenuta energia.
L'artista non ritrae il cavallo, ma la sua idea, l'essenza
e l'azione che lo identificano, il movimento della corsa,
traducendo in immagini e schemi le interiori sensazioni sensitive
e muscolari colte al di là dell'osservazione puramente
visiva, come Robert Root-Bernstein riporta: "la pittrice
Susan Rothenberg descrive il processo della sua pittura non
come visuale, ma come "davvero viscerale"..."
In questo "IXI", 1976-77, emulsione vinilica ed
acrilico su tela di 400x299 cm, le bande laterali, definite
da una sottile linea bianca, individuano e limitano lo spazio
dell'azione nel piano della tela, mentre le linee incrociate
che si sovrappongono all'immagine sembrano volerla bloccare
nel momento in cui l'animale si concentra in sè stesso
prima di spiccare la corsa: curiosamente, lo schema spaziale
della composizione viene sottolineato da un titolo altrimenti
indecifrabile, IXI, che ha significato non letterale ma puramente
grafico.
Accade abbastanza frequentamente che i dipinti di Susan Rothenberg
vadano integrati con spiegazioni teoriche, dato che il linguaggio,
malgrado la relativa immediatezza, spinto da un nervosismo
compulsivo gioca costantemente entro i contrastanti rimandi
del simbolo e della figurazione, nei termini di un'astrazione
riduttrice, così l'ha definita qualcuno, o di una neo-astrazione
con residui espressionisti che mette in luce il nucleo principale
della ricerca della Rothenberg: la crisi della rappresentazione
e l'esplorazione del positivismo, unite alla volontà
di un ritorno all'immagine che tuttavia non si sottometta
al realismo convenzionale, il senso del disegno senza la lusinga
della forma
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