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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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Concorso artistico Lucca Biennale Cartasia 2022, tema conduttore di questa edizione “The white page” (pagina bianca), le infinite possibilità per gli artisti di raccontarsi tramite le opere in carta.

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Parigi, all’Espace Lafayette-Drouot "The World of Bansky”, su 1200 mq. esposte un centinaio di opere del più famoso street artist del mondo. Fino al 31 dicembre 2021.

Andrew Wyeth, "Letting her hair down"
di Vilma Torselli
pubblicato il 20/05/2007
"Helga poses non-stop. I'd get tried but she'd say, 'Hey I'm not at all tired. Keep going!" (Andrew Wyeth)
Andrew Newell Wyeth (1917-2008) figlio d'arte, dato che suo padre era un famoso illustratore (da lui imparerà l'uso del carboncino e dell'olio), è noto per i suoi acquerelli e soprattutto per le tempere all'uovo, mezzo espressivo ottimale, a lui più congeniale per la duttilità del materiale, la ricchezza di sfumature ottenibili, la docilità e la morbidezza del segno ed il particolare tempo di essicazione che gli permette di ottenere un effetto affresco.

Dice dell'acquerello: "With watercolour, you can pick up the atmosphere, the temperature, the sound of snow shifting through the trees or over the ice of a small pond or against a windowpane. Watercolour perfectly expresses the free side of my nature" mentre della tempera afferma: "Oil is hot and fiery, almost like a summer night, where tempera is a cool breeze, dry, crackling like winter branches blowing in the wind. I'm a dry person, really. I'm not a juicy painter. There's no fight in oil. It doesn't have the austere in it."

L'acquerello lo mette in sintonia con il lato libero della sua natura ("the free side of my nature"), la tempera lo stimola alla ricerca delle estreme possibilità tecniche del mezzo (l'olio non gli interessa perchè "There's no fight in oil"), in un caso e nell'altro pare che la rapidità dell'essicazione sia un fattore determinante in grado di esaltare quel risultato di "asciuttezza" ed austerità che la sua personale tendenza ispirativa e la sua vena creativa gli impongono ("I'm a dry person, really").

Tema prediletto il litorale del Maine, i paesaggi della Pensilvania, ambienti rurali che sono altrettante riflessioni sulla storia e la società americane, ritratti, come quelli della celebre serie dedicata ad Helga, in uno stile minutamente descrittivo, attento ai particolari, ampiamente comunicativo eppure austero, di misurato compiacimento formale, nel linguaggio di un pittore oggettivista piuttosto che realista, per il quale ogni oggetto ed ogni dettaglio vale per sè stesso, senza che prevalga la componente assemblativa, un pittore per il quale la rappresentazione non riveste pretese di interiorizzazione.

Tuttavia ogni ritratto di Helga (Helga Testorf, immigrata prussiana, vicina di casa di Andrew Wyeth) ha una tale carica evocativa che, quasi al di là della volontà dell'autore stesso, non intenzionato a fare un ritratto psicologico, ma una ricerca sugli effetti di luce sul corpo e sui capelli di un biondo-rosso radioso, apre imprevedibilmente una finestra su un mondo simbolico e spirituale di straordinaria profondità dal quale lo stesso Wyeth pare ammaliato: esegue infatti, in circa 14 anni, 240 ritratti della donna, sia semplici studi e bozzetti, sia dipinti completamente terminati, a tempera, ad acquerello, punta secca e matita, quasi ossessivamente, suo malgrado spinto a coglierne l'interiorità delicata e nascosta al di là della durezza dell'aspetto esteriore.
Helga, che non ha mai posato prima di allora, è per Wyeth una modella paziente, egli scrive nella sua autobiografia; "Helga poses non-stop. I'd get tried but she'd say, 'Hey I'm not at all tired. Keep going!": dotata di quella asciutta semplicità che Wyeth predilige, Helga è una donna sola di volta in volta in mezzo ad una natura aspra e minacciosa, in un letto di candida freddezza, in un ambiente spoglio e vuoto, una donna tranquilla e composta, minuta ma non fragile, che fissa senza esitazioni un orizzonte lontano, che non teme nulla, nè il temporale imminente, nè i rigori di un freddo paesaggio invernale, nè la solitudine, nè la vita.

Questa è Helga, una donna determinata e forte, come in questo "Letting her hair down" del 1972, dove la nudità priva di imbarazzo, ma non impudica, protetta dalle braccia conserte in segno di chiusura e di rifiuto, la durezza dello sguardo, fisso su una visione a noi ignota, la piega decisa della bocca serrata e muta, sono gli atteggiamenti di una donna sulla difensiva, disposta a rivelare il suo corpo ma non la sua anima, mentre, a sua insaputa, un delicato gioco luministico sui sottili capelli biondi ed un pulviscolo atmosferico dorato nella luce abbagliante della finestra circondano la sua figura di una luminosità lieve e spirituale, facendone l'icona di una femminilità potente e misteriosa, enigmatica e sconosciuta.


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di Pietro Pagliardini


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