Armand Pierre Fernandez (1928), che in arte sarà
semplicemente Arman, inizia come artista disimpegnato, che ricapitola
in una serie di opere influenzate dalle correnti più
disparate, dal Cubismo all'Astrattismo, i suoi primi tentativi
nel mondo dell'arte.
Non è un artista precoce nè
particolarmente dotato, finchè, verso gli anni '60, elabora
un suo linguaggio che egli stesso definisce "della quantità",
dando vita, con altri artisti contemporanei, a quel Nouveau
Réalisme di cui troviamo tracce negli americani Jasper
Johns e Robert Rauschenberg, movimento che non diventerà
la Pop Art solo perchè in Europa il mercato dell'arte
non monopolizza i capitali e le transazioni finanziarie che
la ricca America mette in moto ed i potenti personaggi che lo
controllano sono tutti là, oltreoceano, italiani, francesi,
sopratutto ebrei.
La matrice di partenza degli accumuli è chiaramente
dadaista, come è dadaista la matrice della Pop Art
(o new dada), tuttavia Arman ne trae una sua personale versione
strutturata in modo del tutto originale e programmato, dimostrando,
come rileva Pierre Restany, teorico del Nouveau Réalisme,
che "la presunzione apparente era una lucidissima volontà".
Scrive ancora Restany : "L'ammucchiamento si impone di
colpo come l'enunciazione di un principio fondamentale, di
un sistema strutturale della visione.... Ogni oggetto contiene
in sé la morfologia esatta del suo ammassamento o della
sua rottura....".
E' il modo che Arman sceglie per una appropriazione diretta
della realtà, superandone la rappresentazione mimetica,
proponendo direttamente l'oggetto in un poetico riciclaggio
del materiale urbano, industriale, pubblicitario, dichiarando
"La mia tecnica di accumulazione consisteva nel lasciare
che (gli oggetti) si componessero da soli. Alla lunga, niente
è più controllabile del caso...... il caso è
il mio materiale di base, la mia pagina bianca" (dal
catalogo della mostra al Stedelijk Museum di Amsterdam, 1969).
Certo queste sue opere, di cui è efficace esempio
questa "Poubelle 1", 1960, accumulo in teca di plexiglas
65.5 x 40 x 10 cm oggi al Kaiser Wilhem Museum di Krefeld,
tematica di forte significato simbolico più volte ripresa,
farebbero la gioia di qualunque dadaista, ironica celebrazione
dell'objet trouvé, anonimo scarto della civiltà
dei consumi che il gesto demiurgico dell'artista decontestalizza
facendone oggetto artistico, trasformando la pagina bianca in
poesia, tuttavia, ad un più approfondito esame, le
differenze e le innovazioni rispetto al dada non sono poche.
Il concetto dell'accumulo è in realtà estraneo
alla poetica duchampiana, basti pensare alla ruota di bicicletta
enfaticamente esposta così com'è su un alto
sgabello, l'accumulo presuppone infatti un intervento diretto
sulla materia, una sua trasformazione, anche violenta, che
invece il ready-made duchampiano non prevede: nel caso di
Arman l'azione sia fisica che intelletuale esercitata dall'artista
sul materiale costituisce il vero evento artistico, quasi
in contrapposizione all'opera vera e propria, che perde in
parte il significato un po' feticistico del ready-made dadaista.
Differenza rilevante di questo linguaggio eminentemente quantitativo
rispetto al Dadaismo è anche una certa sovrabbondanza
del messaggio, la uniforme continuità materica della
composizione, nella quale gli oggetti, fittamente accostati,
incastrati e compressi, invadono tutto il campo visivo con
un effetto di copertura totale, addivenendo ad un risultato
quasi pittorico: l'occhio dell'osservatore vaga in circolo
da un oggetto all'altro, senza soluzione di continuità,
senza trovare spazi vuoti, nè soste, nè buchi,
in composizioni all over che ricordano da vicino il dripping di Jackson Pollock e la superficie indifferenziata dei suoi
dipinti senza verso nè centro, nè sopra, nè
sotto.
Non è comunque da sottovalutare l'aspetto puramente
decorativistico, che in molti casi Arman ricerca consapevolmente
con maggior raffinatezza, realizzando accumuli più
leggeri di oggetti uguali tra loro, avvolti in un film di
poliestere liquido con effetto di brillantezza quasi preziosa:
non va mai perso, comunque, un rapporto con l'oggetto quasi
animistico, legato alla capacità che egli possiede
di vedere ciò che ci circonda come presenze quotidiane,
ma non per questo anonime ed insignificanti, che fanno parte
della nostra vita, in dialogo attivo con la nostra interiorità,
poichè, cito ancora Pierre Restany: "I suoi
oggetti di lusso sono feticci ragionevoli".
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