Paul Nash (1889- 1943) è un pittore di
ispirazione neo-romantica-surrealista dalla creatività
visionaria, dotato di grande sensibilità immaginativa
e poetica.
Ufficiale dell'esercito britannico in entrambe le guerre mondiali,
Nash è passato attraverso una triste vicenda umana che
lo ha profondamente segnato, enfatizzando la componente emotiva
del suo sentire ed accentuando una personale visione del mondo
amara e tragica.
Reclutato da Charles Masterman, capo dell'ufficio di propaganda
di guerra del governo (WPB), ed incaricato della realizzazione
di illustrazioni e dipinti di ispirazione bellica, Nash finisce
per detestare il suo lavoro ed attraversa un periodo di crisi
esistenziale che matura poi in un atteggiamento di rifiuto della
violenza e di predicazione pacifista, con la veemenza e l'accorata
disperazione di chi la guerra l'ha vista davvero, e da vicino,
in tutto il suo orrore distruttivo.
L'antimilitarismo e la non violenza diventeranno per Nash una
missione, lo scopo del suo lavoro artistico, egli stesso dichiarando:
"I am no longer an artist. I am a messenger who will bring
back word from the men who are fighting to those who want the
war to go n for ver. Feeble, inarticulate will be my message,
but it will have a bitter truth and may it burn their lousy
souls."
"We are building a New World", 1918, olio su tela
di 91 x 71 cm oggi all'Imperial War Museum di Londra, viene
eseguito alla fine della prima guerra mondiale ed è
una pittura di paesaggio di chiaro significato simbolico,
tra le più suggestive e scioccanti che Nash dipinse
sul tema della guerra: il "nuovo mondo" frutto della
follia omicida dell'uomo è una landa desolata popolata
da alberi morti, spezzati, seccati, sradicati, miseri cadaveri
di un mondo violato che, nella rappresentazione di Nash, ha
perso ogni connotazione naturalistica, sia nel tratto rigido
e forzato, con deviazioni secche ad angolo acuto che definiscono
forme inerti, sia nella colorazione violentemente falsata
del cielo assurdamente rosso, il colore della passione e del
sangue, per un risultato di grande effetto teatrale, volutamente
scenografico, intenzionalmente esagerato nei toni empatici,
in questo senso scopertamente neo-romantico.
In questa allucinante messa in scena, in questo contesto
silente e deserto, la figura umana non compare, il dolore
e la distruzione si esprimono per via indiretta, o meglio
simbolica, attraverso la natura, la terra brulla, il cielo
percorso da rigidi raggi di sole, l'albero, uno dei temi prediletti
di Nash, in una metaforica rappresentazione dell'uomo e della
sua sofferenza, che fa derivare proprio dall'assenza della figura
umana e di ogni traccia di vita l'intensità del pathos e la violenza dell'impatto emotivo.
Un'assenza che, tuttavia, evoca prepotentemente una presenza:
gli alberi in parata sembrano infatti uno spettrale esercito
di combattenti schierati per l'ultima disfatta, feriti, abbattuti,
vinti, simbolo di un'umanità in rovina sulla quale
un improbabile sole, luminoso e raggiante, brilla inutilmente,
illuminando sinistramente il desolato panorama, testimone
indifferente di una tragedia deprecabile, ma inevitabile,
la guerra, che ha trasformato una natura amica in una presenza
minacciosa e paurosa.
Un messaggio tutt'altro che esile ed inarticolato, certamente
amaro, struggente e disperato, uno spietato atto d'accusa
all'insensatezza di ogni guerra.
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