Alfredo Chighine (1914 - 1974) è un artista
complesso, astrattista, informale, con una sensibilità
materica e plastica che lo rende anche apprezzato scultore ed
incisore e che si sposa, con raro e felice equilibrio, ad aspirazioni
astratte di reminiscenza kandinskiana e riferimenti internazionali
nella direzione della pittura segnico-gestuale di Hartung e
De Stael.
All'interno di una così variegata formazione intellettuale,
emerge, nella pittura di Chighine, una sostanziale autonomia
linguistica radicata principalmente nella matrice lombarda
del suo background culturale, nella solidità di una
terra laboriosa e positiva dove il senso di modernità
è inteso come continuità della propria storia
e del proprio vissuto. Non vengono mai meno, infatti, nella
pittura di Chighine, riferimenti e rimandi ad un diffuso senso
di arcaicità, di primitivismo sofferto ed intenso nel
quale sta l'origine della storia di ognuno di noi, chiaramente
percepibile soprattutto nelle sculture lignee, espresso con
segno potente e solidamente strutturato, collegato a riferimenti
naturalistici che riportano il suo astrattismo sulla terra
ed alla terra.
Come si evidenzia in questa "Composizione" del 1956,
olio su tela di 80x60 cm, la luce è per Alfredo Chighine
elemento fondamentale attraverso il quale egli trasfigura
la materia, le dà forma, ne determina lo spessore,
la consistenza e la trasparenza, ne rende il colore unico
e prezioso: viene in mente il cielo di Lombardia "così
bello quando è bello", e la luce pacata della
pianura, l'azzurro di cieli sbiancati dall'afa o soffocati
dalla nebbia e proprio da quella luce discende la spiritualità
intensa di una pittura inquieta che si placa e si diluisce
in uno spazio irreale e radioso, metafora di un interiore
viaggio alla ricerca di sé.
Sullo sfondo di un fermo equilibrio delle masse cromatiche,
la composizione si anima di fremiti per la controllata sbavatura
dei contorni, per la sottile trama delle pennellate, per il
soffio che pare percorrere la superficie della tela, increspata
dall'irregolare spessore della campitura cromatica, sfiorata
da una luce che viene dal fondo e si guadagna la superficie
emergendo alla coscienza.
Giuseppe Ajmone, pittore, critico d'arte, collaboratore del
Centro studi della Triennale di Milano, dice di Chighine:
"Come in tutti gli artisti che amo, anche in Chighine
il clima è costante, teso ad un fine poetico che parla
di amarezze e di stupori nel quale le oscillazioni sono il
segno dell'incertezza e varietà della vita, dove la
luce del colore diventa alta pittura."
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